«Noi ci dovevamo fare una batteria a parte, contro il gruppo di Ruta». Avevano mire espansionistiche sul quartiere San Paolo, volevano creare un gruppo indipendente, affiliato solo alla ‘Ndrangheta. Parla “Angioletto”, Arcangelo Telegrafo, reggente di uno dei due clan del rione barese, che due mesi fa ha fatto sapere agli inquirenti di voler collaborare con la giustizia.
E, in un lungo interrogatorio alla presenza dei pm antimafia Daniela Chimenti e Marco D’Agostino, fotografa affiliati, racconta la vera storia della criminalità barese nell’ultimo decennio, apre spiragli di interpretazione sui fatti di sangue più recenti. Come il tentato omicidio di Nicola Cassano, 23 anni e già un soprannome di tutto rispetto, ”Lo Sciacallo”, miracolosamente sopravvissuto ad una sventagliata di colpi calibro 9 esplosi sabato scorso contro la sua auto mentre si trovava con la fidanzata 15 enne.
Il giovane è un affiliato di suo fratello Dino Telegrafo e occhi e voce sul quartiere dei due fratelli detenuti. Arcangelo racconta quello che potrebbe essere un movente per il tentato omicidio e cioè il fatto che con i suoi affiliati più stretti, incluso suo fratello Donato (detto Dino), avessero deciso di staccarsi dalla frangia capeggiata da Alessandro Ruta, ancora forte sul quartiere nonostante la detenzione dei capi.
«Io non ne volevo sapere più di Ruta, dovevo mettermi con qualcun altro. Volevo essere autonomo – precisa – Gli spiegavo (a Beniamino Loglisci in una lettera, ndr) di dire a mio fratello: “Che noi dobbiamo essere più autonomi, non dobbiamo avere bisogno più di queste persone». E non si trattava di avere uno spazio tutto loro, «lo abbiamo sempre avuto lo spazio tutto nostro. Noi siamo Telegrafo – dice con orgoglio – non siamo Strisciuglio, siamo in comparanza con gli Strisciuglio, solo per riti di affiliazione siamo Strisciuglio, però noi portiamo sempre la bandiera Telegrafo avanti».
E quando gli chiedono se, dopo la programmata scissione avesse intenzione di affiliarsi con Gino (Sigismondo) Strisciuglio, lui spiega: «No, io no. Io non avevo questa vista, mi volevo chiamare autonomo direttamente in base a qualche calabrese che conosco». E spiega anche di aver avvisato Benny (Loglisci) «di stare con la guardia alta, perché se io ho mandato a dire a Ruta che di lui non ne voglio sapere più niente, loro potevano fare qualcosa nei confronti di Loglisci».
Ad essere gravemente ferito, invece, è stato Cassano. «Il dissidio con Ruta – chiarisce Telegrafo – è nato nel momento in cui Lopez è stato scarcerato e io ho visto che Ruta lo ha fatto camminare sul San Paolo. Perché anch’io avevo i miei contatti sul San Paolo che stavano fuori, come “Lo Sciacallo”, Nicola Cassano, che è un affiliato di mio fratello e mi riportava tutte queste cose qua la sera al telefonino, mi diceva: “Vedi Alessandro che sta facendo? Lo sta facendo camminare sul San Paolo. Se fosse per me non lo facevo neanche camminare, però purtroppo siccome siamo in minoranza dobbiamo fare il doppiogioco. Poi, nel momento in cui esce tuo fratello o esci tu, ci mettiamo di schiena a lui”».
Ma le cose non sono andate in questi termini, anche a seguito del fatto che dopo Arcangelo Telegrafo si sarebbe pentito anche un altro componente della famiglia. E questo, probabilmente, avrebbe lasciato il giovanissimo Cassano senza “padrini”.
Arcangelo Telegrafo parla, per ore, e i suoi verbali vengono acquisiti nell’ambito del processo “Vortice Maestrale”, iniziato il 3 marzo scorso al tribunale di Bari nei confronti di 150 persone, accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, lesione, estorsione. Preciso, lucido, racconta quanta disponibilità di armi abbiano i clan del San Paolo e i nascondigli: «Nel 2014, mentre eravamo fuori, giù alla casa della nonna c’è una caldaia, e un giorno lì andammo vestiti da muratore per mettere le armi nel muro, però non so se lui (Ruta, ndr) le ha spostate o ci sono ancora lì».
E alla domanda sulla tipologia, risponde: «Calibro 9, 38, 357, qualche kalashnikov. Le armi noi le abbiamo avute assai sul quartiere, specialmente quando stavo io fuori. Fino a quando sono stato io fuori abbiamo avuto sempre borsoni di armi pieni, tutti i tipi. Le prendevamo in base alle persone che venivano. Qualche ladro sul San Paolo veniva, oppure qualcuno veniva e ti portava un borsone … anche persone che noi non possiamo mai immaginare che ti porta un borsone di armi. Viene e ti dice: “Ho questo borsone”. “Vuoi 10 mila euro? Dammi qua, me lo prendo”».