Quasi due mesi per ricevere una visita specialistica a casa perché prima bisogna «raggruppare un certo numero di pazienti che vivono nella stessa zona». È la brutta storia accaduta ad Anna (nome di fantasia), una 82enne bloccata in casa che da anni soffre di una patologia endocrina. «Temo che si tratti di una prassi ormai consolidata – confida in modo lucido la donna all’Edicola del Sud –, ma il problema è serio: se una persona sta male non può aspettare che stiano male anche gli altri per avere un consulto».
I fatti risalgono a poco prima dell’estate, quando Anna, per mezzo di alcuni parenti, presenta alla sede Asl di via Fani richiesta per ricevere una visita specialistica domiciliare in quanto, oltre a non poter deambulare a causa di una invalidità totale, è sottoposta a ossigenoterapia giorno e notte. Dopo diverse settimane senza aver ricevuto risposta, Anna cerca di contattare telefonicamente gli uffici dell’azienda sanitaria e l’ambulatorio del medico competente. Il telefono, però, squilla sempre a vuoto e nel frattempo Anna va due volte in coma, ma per fortuna si riprende. Dopo 43 giorni e l’ennesimo tentativo, dall’altro lato della cornetta risponde una dottoressa che conferma di aver ricevuto la richiesta ma, dopo aver saputo dove abita la donna, risponde che «per venirla a visitare devo prima raccogliere un certo numero di pazienti che vivono nella sua stessa zona».
«Quindi posso tranquillamente morire se lei non trova altre persone che vivono in questo quartiere?», le domanda allibita Anna. A quel punto la dottoressa risponde che lei non può muoversi liberamente perché fa le visite a domicilio solo due ore al giovedì pomeriggio: «Quanti altri giovedì dovrò aspettare?» domanda allora la donna che, per fortuna, dopo circa una settimana ricevere questa sospirata visita a domicilio, dopo oltre due mesi d’attesa, fuori dall’orario di servizio della dottoressa e in un giorno diverso da quello previsto.
Fonti interne alla Asl riferiscono che l’organizzazione delle visite domiciliari non è indicata dai superiori, ma da una precisa scelta dei singoli medici: «Forse i dirigenti non sono a conoscenza di queste situazioni e per questo bisognerebbe informali» dice Anna, che poi aggiunge: «Penso che un medico non dovrebbe mai addurre come motivazione o scusante del suo mancato intervento la necessità di raggruppare un certo numero di pazienti della stessa zona per effettuare le visite domiciliari. Questa dottoressa, quando ha fatto il giuramento di Ippocrate, ha posto questo genere di condizioni per esercitare la sua professione?», si domanda Anna, che aggiunge: «Non voglio che quello che mi è accaduto capiti ad altri ammalati, tanto più se anziani come me», conclude la donna, che tra qualche mese dovrà sottoporsi di nuovo ad un’ulteriore visita domiciliare. Chissà se sarà di nuovo così difficile.