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Venezia 2022, per Panahi parla il film: vuota la sedia del regista in carcere

(Adnkronos) - Una sedia vuota. Ancora una volta. È quella di Jafar Panahi, che oggi avrebbe dovuto accompagnare il suo nuovo film, No Bears (Gli orsi non esistono, acquistato per l’Italia da Academy Two), titolo che insieme a Chiara di Susanna Nicchiarelli e Les miens di Roschdy Zem chiude il concorso di Venezia 79, in…

(Adnkronos) – Una sedia vuota. Ancora una volta. È quella di Jafar Panahi, che oggi avrebbe dovuto accompagnare il suo nuovo film, No Bears (Gli orsi non esistono, acquistato per l’Italia da Academy Two), titolo che insieme a Chiara di Susanna Nicchiarelli e Les miens di Roschdy Zem chiude il concorso di Venezia 79, in attesa della cerimonia di premiazione prevista domani, sabato 10 settembre. 

Il regista iraniano, invece, come noto è bloccato nel suo paese, in carcere dallo scorso luglio. Bloccato lo è da anni, in realtà, visto che da parecchio gli era vietato realizzare nuovi film e varcare i confini in quanto regista dissidente. 

Per nostra fortuna, però, Panahi ha “violato” uno di questi atroci, assurdi divieti. E il cinema lo ha continuato a fare, nel 2015 vince l’Orso d’Oro a Berlino per Taxi Teheran, nel 2018 viene premiato per la sceneggiatura di Tre volti a Cannes, ora con No Bears rischia di vincere il suo secondo Leone d’Oro a Venezia (il primo, nel 2000, grazie a Il cerchio). Con un film che, ancora una volta, ragiona sulla possibilità di raccontare storie partendo da una situazione di “cattività”, con il regista parte in causa della storia stessa. In realtà le storie sono due: da una parte c’è lo stesso Panahi, in un remoto villaggio al confine con la Turchia, che da remoto (e connessione permettendo) sta girando un nuovo film, incentrato su una coppia che da anni attende i documenti per poter raggiungere l’Europa, dall’altra la storia d’amore segreta di due ragazzi nel villaggio dove però ancora regnano antiche tradizioni e abitudini. 

“È stato molto strano quando ho letto la sceneggiatura, in quel momento stavo scrivendo un monologo per il teatro che affrontava il tema degli emigrati iraniani, sono rimasta scioccata perché il personaggio di Zara, pieno di rabbia perché è da 10 anni che aspetta i documenti per poter andare in Europa. Era davvero simile al monologo che stavo scrivendo io”, dice Mina Kavani, attrice iraniana ormai di stanza a Parigi da 12 anni. 

“Per le attrici che vivono o lavorano in Iran ho massimo rispetto, non è necessario emigrare per potersi esprimere. Non posso dare il consiglio che per essere felici bisogna andare via dall’Iran. È importante avere la perseveranza propria delle donne, questa è una scelta mia, sono dodici anni che vivo in Francia, che combatto, ogni giorno, ma è quello che fa ogni donna in qualsiasi parte del mondo, in Iran e fuori. Sembra sempre che ti vogliono etichettare, vorrei poter essere un’attrice, non essere catalogata come un’iraniana, afghana o qualsiasi altra cosa. Voglio semplicemente entrare nei ruoli che mi propongono”. 

Insieme a lei, ad accompagnare No Bears – che sul red carpet sarà preceduto da un flash mob organizzato dal Festival in segno di protesta per l’arresto del regista iraniano e per manifestare solidarietà con tutti i registi e gli artisti perseguitati in tutto il mondo – c’è anche il tecnico del suono Reza Heydari, che nel film recita nella parte di se stesso: “Ci manca Panahi qui, il suo posto è vuoto. Spero sia liberato al più presto possibile. È un peccato che un maestro così importante sia in carcere, il suo posto è fuori per continuare a guidarci”. 

Perché alcuni registi iraniani sono in carcere e altri no? “È una bella domanda, ma la risposta è dentro il film”. 

Condannato a sei anni di prigione dopo essere stato arrestato per aver criticato il governo per l’arresto del regista Mahammad Rasoulof, Panahi “può ricevere solamente le visite dei parenti di primo grado, quindi non sono potuto andare a trovarlo”, dice ancora Heydari, che sulla lavorazione del film aggiunge: “Quando lavori con Panahi la cosa che emerge con forza è la capacità che ha di trasmettere agli altri il suo amore nel fare cinema. Nonostante le restrizioni alle quali era obbligato, si svegliava prima di tutti noi e andava a dormire per ultimo per lavorare sul film”. 

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