(Adnkronos) – “I difensori di Azovstal sono eroi buoni, perché hanno combattuto per il bene, hanno difeso i bambini, le madri e l’Ucraina. Hanno il diritto di vivere e di essere liberi. Io mi rivolgo a tutta la comunità internazionale, a ogni associazione, a ogni organizzazione e a ogni persona che si trova dalla parte del bene: se potete aiutarci a liberare i nostri militari, fatelo”. È l’appello, raccolto dall’Adnkronos, di Tetiana Kharko, rappresentante dell’associazione delle famiglie dei difensori dell’Azovstal e sorella del comandante della 36esima brigata separata dei marines ucraini, Serhiy Volynsky, detto ‘Volyn’, che è ancora prigioniero russo.
L’ultimo contatto con la famiglia è stato “un messaggio che ci ha inviato il 20 maggio. Ci scriveva che dal giorno successivo non sarebbe stato più possibile parlare, per mancanza di connessione. E noi abbiamo capito che sarebbe stato il suo ultimo giorno ad Azovstal”. Da allora “nessun messaggio, nessuna telefonata e nessuna informazione su come stesse e dove si trovasse”, solo voci che si rincorrono, senza trovare conferme. Due settimane fa i media russi hanno fatto sapere che il comandante era tra i prigionieri di Azovstal trasferiti a Mosca. “Ma la verità – dice la sorella – è che non sappiamo dov’è. Ci sono voci secondo cui è nelle cosiddette repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, secondo altre è a Rostov sul Don o nel carcere Lefortovo, ma dai video diffusi dai media russi purtroppo è impossibile stabilire dove lui si trovi realmente”.
Per i parenti è “davvero molto difficile: non sapere spaventa. E dall’altra parte sapere invece come potrebbero essere trattati i prigionieri ci causa un forte stress”, racconta Tetiana Kharko. Per combatterlo lei ha scelto l’impegno nell’associazione delle famiglie dei difensori dell’Azovstal. “Incontro rappresentanti del governo e dei media e questo mio lavoro mi dà la speranza di poter essere utile a recuperare mio fratello”. La cognata, con un figlio piccolo, “a cui dare l’esempio”, è costretta “a tenere dentro al cuore le lacrime che non può mostrare”.
La famiglia è la vera passione di Serhiy Volynsky, nonostante “abbia scelto la professione militare”. Nato nella regione ucraina di Poltava trent’anni fa, Volynsky ha trascorso metà della sua vita nelle fila dell’esercito: “A 15 anni, dopo aver finito la scuola media, si è iscritto al liceo militare di Kremenchuk. Poi ha frequentato l’accademia militare a Lviv ed è stato inviato in Crimea. Era lì nel 2014, quando è iniziata l’annessione, con l’arrivo dei cosiddetti ‘omini verdi’, cioè dei russi. Ed è stato uno dei pochi a non tradire la patria e a tornare in Ucraina continentale, dove negli ultimi otto anni ha combattuto nell’est, anche vicino a Mariupol”, racconta Tetiana, senza nascondere l’orgoglio.
“Forse come per ogni sorella, mio fratello è una grande persona: sorridente, buono, onesto, con dei valori, già al di fuori della professione militare, ha sempre aiutato gli altri, bambini e anziani. E io ho sempre saputo di poter contare su di lui. Ma dopo i fatti di Azovstal, mio fratello è diventato un eroe, un eroe dell’Ucraina ed è impossibile pensarla diversamente”, osserva Kharko. Il comandante Volynsky – spiega – “già due settimane prima dell’invasione su larga scala con la sua brigata si trovava vicino a Mariupol. Il 24 febbraio era proprio in città, nella base dello stabilimento Azovmash. Il 12 aprile, sotto il suo comando, una parte della brigata si è unita agli altri difensori nelle acciaierie Azovstal”.
Lì “a costo della loro vita e del proprio benessere psicologico, hanno difeso la loro patria e anche noi. Hanno visto con i loro occhi amputazioni senza anestesia, si sono ritrovati senza medicine, con carenza di cibo e hanno eseguito gli ordini fino alla fine. Ora l’ordine che hanno è quello di preservare le loro vite”, dice Tetiana, che nei giorni scorsi ha incontrato i primi 95 difensori di Azovstal liberati.
“Ho parlato personalmente con i ragazzi e li ho visti con i miei occhi: sono tornati tutti molto magri e con un aspetto molto malato. Al 90% hanno ferite gravi, molti sono senza braccia e senza gambe, alcuni non vedono o non sentono. Altri ancora sono paralizzati. Anche da un punto di vista psicologico hanno bisogno di aiuto: alcuni di loro piangono, altri riescono a parlare, anche se non raccontano molto. Quello che si è notato, però, è che erano felici di essere tornati a casa. E io spero in un bel futuro per loro”, racconta la rappresentante dell’associazione delle famiglie dei difensori dell’Azovstal, che dopo aver aperto una linea di sostegno psicologico per parenti e soldati, ora vuole impegnarsi anche sul fronte della riabilitazione fisica di coloro che stanno venendo rilasciati.
Inoltre – aggiunge Tetiana – “siamo in contatto continuo sia con i rappresentanti del governo sia con la Croce rossa internazionale, per fare in modo che la sua missione funzioni al meglio. Noi non sappiamo in che condizioni siano detenuti i nostri militari, se gli venga fornito cibo e aiuto medico, se venga rispettata la Convenzione di Ginevra. Sappiamo solo che la Russia non fa incontrare a nessuno i prigionieri, neanche alla Croce rossa”.
Quanto ai numeri dei detenuti, “sappiamo che da Azovstal sono uscite all’incirca 2.400/2.500 persone e ne sono tornate 95”, dice la rappresentante dell’associazione, assicurando, come già ha fatto con i prigionieri rilasciati, che “come abbiamo lottato per loro, così lotteremo anche per gli altri”.