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Ucraina, Oleg Buriak: “Ringrazio i giornalisti, la spada che ha liberato mio figlio”

(Adnkronos) - "Vorrei ringraziare i giornalisti: la vostra non indifferenza è stata la spada che mi ha consentito di riabbracciare mio figlio". A parlare è Oleg Buryak, capo dell'Amministrazione militare del distretto di Zaporizhia e padre di Vlad, adolescente rilasciato dai russi dopo 88 giorni di prigionia ed a tre giorni dall'annuncio della liberazione. Il…

(Adnkronos) – “Vorrei ringraziare i giornalisti: la vostra non indifferenza è stata la spada che mi ha consentito di riabbracciare mio figlio”. A parlare è Oleg Buryak, capo dell’Amministrazione militare del distretto di Zaporizhia e padre di Vlad, adolescente rilasciato dai russi dopo 88 giorni di prigionia ed a tre giorni dall’annuncio della liberazione. Il figlio minorenne, autorizzato a parlare con l’Adnkronos, interviene nella conversazione ed afferma: “Sono testimone delle torture. Ciò che mi ha provocato più dolore è non averle potute fermare. Mi ha dato speranza parlare con i prigionieri, aprire una finestra per farli respirare. Far circolare bigliettini …Pensare che un giorno avrei riabbracciato i miei genitori”. 

Il ragazzo, sedici anni, che riferisce di non aver subito violenze fisiche, in quanto “prigioniero privilegiato per la posizione di mio padre”, descrive da una località segreta il suo ruolo a servizio dei russi: “Portavo via la spazzatura, aiutavo in cucina, lavavo i pavimenti della stanza delle torture. Ma questa non mi è sembrata una ritorsione o una qualche forma di violenza psicologica – commenta – Per loro era un lavoro elementare pari al lavare i piatti”. Il padre interviene: “Ha pulito pavimenti asciugando pozze di sangue, lavorato nella stanza delle torture mentre un uomo penzolava appeso dal collo avvolto nel fil di ferro, ed un agente russo seduto accanto con indifferenza elaborava scartoffie. Vlad – prosegue – ricorda l’odore del sangue nello straccio con con cui cancellava i segni delle sevizie. Rammenta l’abbraccio ad un ragazzo che aveva tentato il suicidio tagliandosi le vene”.  

Il figlio annuisce: “Quando sei lì, non puoi mostrare le tue emozioni. Usavano anche la corrente elettrica. Picchiavano i prigionieri. Ho raccolto i racconti delle sevizie. Andavo avanti grazie alla voglia di vivere, di riabbracciare i miei genitori”. “I russi non rispettano nessuna regola – continua – Fanno ciò che vogliono, convinti che non ne pagheranno le conseguenze. Sembrano arrivati da un’isola deserta senza norme etiche. Sono peggio degli animali, se cosi si può dire”. E cosa hai appreso durante la detenzione? “Tentare l’impossibile per aiutare chi ti sta accanto e soffre; ho capito che non ci sono situazioni da cui non si possa uscire; ed imparato ad apprezzare la vita. Sono felice adesso. Sto bene. Posso passeggiare, scrivere, chiamare chi voglio e quando voglio. Mi basta questo”.  

(Roberta Lanzara) 

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