(Adnkronos) – Per il Partito Popolare Europeo le parole di Silvio Berlusconi sulla guerra in Ucraina sono diventate un vero problema. Lo ha chiarito, si apprende da una fonte qualificata, il presidente del gruppo Ppe e del partito, il bavarese Manfred Weber, nelle riunioni tenutesi questa settimana a Strasburgo, a margine della plenaria. Il problema non è Forza Italia, né i suoi eurodeputati, né Antonio Tajani, che ha lavorato per una vita, in posizioni di vertice, a Bruxelles, dove è conosciuto e stimato. E che ora fa il ministro degli Esteri del governo guidato da Giorgia Meloni, fermamente pro Ucraina.
Il problema, però, è che Forza Italia ‘è’ Silvio Berlusconi: senza di lui non esisterebbe, o sarebbe un’altra cosa. I suoi eurodeputati hanno difeso il leader, nelle riunioni, invitando alla calma e facendo notare che non si può chiedere ai membri di un partito di sconfessare il proprio capo. Il problema, per il Ppe, è la linea espressa dal leader di Forza Italia a proposito della guerra in Ucraina e del presidente Volodymyr Zelensky al seggio elettorale di via Ruffini, a Milano, domenica scorsa.
Parole, quelle di Berlusconi, che confermano la linea storicamente pragmatica del Cavaliere e riflettono una tendenza all’Ostpolitik che l’Italia ha sempre avuto, ma che, con la guerra in Ucraina che si avvicina al primo anno di durata, hanno provocato forti proteste all’interno del gruppo del Partito Popolare Europeo, specie sul fianco est. Martedì scorso si sono sentite prese di posizione dure, in particolare, tra le altre, dalle delegazioni dei Paesi Baltici, della Polonia, della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Svezia.
In un Ppe che fin da febbraio è schierato su una linea decisamente filo-Ucraina, le parole di Berlusconi, che pure riecheggiano una sensibilità tutt’altro che assente nell’opinione pubblica italiana (la stessa presidente Giorgia Meloni ha sottolineato, la settimana scorsa a Bruxelles, che sostenere Kiev in Italia non è la cosa più semplice del mondo, dal punto di vista del consenso, pur essendo la cosa “giusta” da fare), hanno urtato la sensibilità delle delegazioni dei Paesi geograficamente più vicini alla Russia, quelli dell’Est e del Nord. Paesi che vivono la Russia di Vladimir Putin come una minaccia esistenziale e diretta, anche se sono sotto l’ombrello Nato (la Svezia non ancora ma sta entrando, Turchia permettendo).
In particolare, sono stati molto duri i polacchi di Piattaforma Civica, il partito di Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Europeo. Quest’anno in Polonia ci sono le elezioni e, con la guerra alle porte di casa, rischiano di vedersi rinfacciare dagli avversari del PiS (gruppo Ecr) di stare in un partito in cui ci sono leader che esprimono pubblicamente posizioni che appaiono, a occhi polacchi, filorusse. E non se lo possono permettere, tanto più che tentare di sconfiggere il Pis non è un’impresa facile, a maggior ragione con la guerra in Ucraina. Per questo, il gruppo Ppe ha diffuso un primo tweet, prendendo apertamente le distanze da Berlusconi, martedì sera. Una mossa obbligata, vista l’inquietudine che si era diffusa tra gli eurodeputati.
Poi, mercoledì, Weber ha applaudito apertamente, in plenaria a Strasburgo, quando il vicepresidente dell’S&D, il portoghese Pedro Marques, ha criticato le parole di Berlusconi. Evidentemente, però, non è bastato. Diverse delegazioni minacciavano di boicottare le giornate del Ppe a Napoli, ai primi di giugno. Visto che un evento del genere si organizza con mesi di anticipo, perché bisogna prenotare alberghi e tutto il necessario, il presidente del Ppe ha deciso di annullare l’appuntamento nel capoluogo campano, annunciandolo pubblicamente. Weber ha avuto cura di sottolineare, nel tweet, che gli eurodeputati di Forza Italia e Antonio Tajani (che è tuttora vicepresidente del Ppe) hanno il suo pieno sostegno.
Sullo sfondo si agitano sospetti di ‘interferenze’ esterne, da parte di altri gruppi, e le prospettive di una maggioranza di destra-centro dopo le elezioni europee del 2024. Una fonte qualificata spiega all’Adnkronos che ad oggi una prospettiva simile semplicemente non esiste, almeno a breve termine, perché “non ci sono i numeri”. Per fare un’operazione del genere non si può prescindere dalla Lega, oggi numericamente fortissima nell’Aula e domani forse un po’ meno, ma politicamente e quantitativamente imprescindibile. Occorrerebbe quindi spaccare Identità e Democrazia, ma diversi partiti di quel gruppo sarebbero inassorbibili, a partire da Alternative fuer Deutschland, off limits per la Cdu/Csu. Bisognerebbe quindi avere Renew Europe, ma allora “non sarebbe centrodestra”, visto che i Liberali hanno posizioni assai progressiste su temi centrali, come i diritti civili e l’ambiente. Del resto, se il Ppe si alleasse con l’Ecr è molto probabile che perderebbe dei pezzi.
Al di là delle elezioni che sono con il proporzionale puro, la prospettiva ad oggi è quella di una maggioranza simile all’attuale: e se Roberta Metsola dovesse fare l’errore di provare a fare la ‘Spitzenkandidatin’, prevede la fonte, “farebbe la fine di Weber”, la cui candidatura a presidente della Commissione venne sapientemente ‘uccisa’ da Angela Merkel ed Emmanuel Macron in un interminabile Consiglio Europeo. Per tanti motivi: ha fatto solo l’eurodeputata prima di essere la presidente del Parlamento, è di Malta, un Paese molto piccolo, ed è popolare. Quindi, in assenza di un von der Leyen bis (l’attuale presidente non ha ancora deciso se ricandidarsi), toccherebbe ad un big socialista, o a un verde.
Pertanto la prospettiva di una maggioranza di destra-centro ad oggi non c’è, secondo la fonte. Poi, neanche Weber può permettersi di prescindere dall’Italia, l’unico grande Paese in cui il centrodestra è unito e governa non solo il Nord, cuore del potere economico, ma anche il governo centrale. Pertanto, prevede la fonte, questo gioco è destinato a smorzarsi presto. Berlusconi ha una riconosciuta capacità di farsi “concavo e convesso”. E anche Weber sa bene che “continuare” con gli attacchi al leader di Forza Italia “non conviene a nessuno”. A tutti, insomma, conviene abbassare i toni e mettere fine ad un gioco in cui ciascuno ha solo da perdere.