(Adnkronos) – “Per favore, sosteneteci”. Le parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky non cadranno nel vuoto. Ne è convinto il premier Mario Draghi, che a Palazzo Chigi lavora in queste ore al discorso che terrà domani al Senato in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. E in cui ribadirà, con fermezza, il sostegno dell’Italia a Kiev, un appoggio convinto senza se e senza ma, tornando a puntellare -ancora una volta- il posizionamento dell’Italia nello scacchiere internazionale e nell’alleanza atlantica. Senza tralasciare alcuni aspetti della visita a Kiev che lo ha visto protagonista giovedì scorso con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il Presidente francese Emmanuel Macron, uno scatto che testimonia con chiarezza da che parte stia l’Europa.
Mentre Draghi lavora al discorso, pronto a ribadire di aver già incassato il disco verde del Parlamento anche sull’invio di armi a Kiev, gli occhi sono puntati sul terremoto interno al M5S, con il braccio di ferro in corso tra il ministro Luigi Di Maio e il leader del Movimento Giuseppe Conte. Le diplomazie sono al lavoro affinché, dalla seduta di domani, esca l’immagine di una maggioranza compatta, nonostante le fibrillazioni e le divisioni evidenti. Ma a Palazzo Chigi in queste ore si respira un leggero ottimismo, certi che la quadra sulla risoluzione di maggioranza alla fine si troverà. Anche se la diffidenza nei confronti dell’ex presidente del Consiglio non è scemata, e i dubbi su quel che intenda realmente fare il Movimento mai sgombrati dal campo. Unica certezza è che la linea di Draghi non cambierà: nessuna intenzione di farsi “commissariare”, rimarca una fonte di governo bollando come “assurdità” le richieste grilline.
Granitica è, al contrario, la fiducia riposta dal presidente del Consiglio nel responsabile della Farnesina, considerato affidabile, e stimato da Draghi anche per la gestione del dossier Ucraina e di quello, altrettanto delicato, della crisi energetica. Nessun dubbio, tra gli esponenti del governo, che se tra Di Maio e il Movimento dovesse finire nel peggiore dei modi Draghi terrebbe comunque il titolare della Farnesina al suo posto, non sollevandolo dall’incarico e sfidando l’ira di Conte. Ma a quel punto, è il ragionamento che rimbalza nel governo, la permanenza del M5S in maggioranza diventerebbe insostenibile, minando la tenuta stessa dell’esecutivo.
Intanto va avanti da ormai 4 ore la riunione di maggioranza per giungere a una risoluzione comune, evitando un testo bandiera del M5S. Al momento la discussione sembra ‘impaludata’ sulla formulazione per impegnare il governo a coinvolgere il Parlamento, anche se sembra ormai scemata del tutto la possibilità di chiedere un nuovo voto delle Camere su un eventuale nuovo invio di armi a Kiev, come chiesto dai vertici del Movimento.
Sul punto, del resto, anche Draghi non sembra disposto a fare concessioni, forte del via libera del Parlamento al decreto Ucraina, il primo con cui venne dato il disco verde all’invio di forniture, anche militari, a Kiev, senza paletti o limiti temporali di sorta. Un via libera che tuttavia Conte e i ‘contiani’, come lo stesso Beppe Grillo stando a fonti interne al Movimento, ritengono superato, perché “non tiene conto dei mutamenti nel frattempo intercorsi e delle strategie che si stanno delineando anche a livello internazionale”, ha rimarcato il Consiglio nazionale grillino -ieri riunito in formula ‘allargata’ vista la delicatezza della questione- all’unanimità.
Anche se per partorire il testo in questione sono state impiegate ore, proprio per i dubbi sollevati oggi da diversi esponenti dell’organo pentastellato -in primis Alfonso Bonafede, Chiara Appendino e Davide Crippa- sulla guerra interna con Di Maio e su quello che, seppur senza espulsione, è suonato come un processo, con grande amarezza dello stesso Grillo per l’immagine ‘ammaccata’ del Movimento.