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Ricerca, studio: tra chi assume vitamina D – 40% casi demenza

(Adnkronos) - "L'assunzione di integratori a base di vitamina D potrebbe aiutare a prevenire la demenza" secondo le conclusioni di un nuovo studio su larga scala, condotto da ricercatori dell'Hotchkiss Brain Institute dell'Università di Calgary in Canada e dell'Università di Exeter nel Regno Unito. Gli autori del lavoro - pubblicato su 'Alzheimer's & Dementia: Diagnosis,…

(Adnkronos) – “L’assunzione di integratori a base di vitamina D potrebbe aiutare a prevenire la demenza” secondo le conclusioni di un nuovo studio su larga scala, condotto da ricercatori dell’Hotchkiss Brain Institute dell’Università di Calgary in Canada e dell’Università di Exeter nel Regno Unito. Gli autori del lavoro – pubblicato su ‘Alzheimer’s & Dementia: Diagnosis, Assessment & Disease Monitoring’ – hanno valutato la relazione tra integrazione di vitamina D e demenza in più di 12mila persone incluse nel database del National Alzheimer’s Coordinating Center americano, che al momento dell’inserimento avevano un’età media di 71 anni e non soffrivano di demenza. Sul totale il 37% ha assunto integratori di vitamina D. Gli scienziati hanno osservato che tale assunzione “era associata a più tempo vissuto senza demenza e a un 40% in meno di diagnosi di demenza”. Un dato, puntualizzano, da confermare con nuovi studi. 

“Sappiamo che la vitamina D produce nel cervello alcuni effetti che potrebbero avere implicazioni nel ridurre la demenza, tuttavia, finora la ricerca ha prodotto risultati contrastanti – spiega Zahinoor Ismail dell’Università di Calgary e dell’Università di Exeter, a capo dello studio -. I nostri risultati forniscono informazioni chiave sui gruppi ai quali mirare in modo specifico un’eventuale integrazione di vitamina D. Nel complesso, le evidenze raccolte suggeriscono che un’integrazione precoce potrebbe essere particolarmente vantaggiosa, prima dell’inizio del declino cognitivo”.  

La ricerca ha mostrato che la vitamina D era efficace in tutti i gruppi di partecipanti, ma con effetti significativamente maggiori nelle femmine rispetto ai maschi. Nelle persone senza problemi cognitivi, rispetto a chi presentava segni di lieve deterioramento cognitivo, e in chi non aveva il gene APOEe4, noto per essere legato a un maggior rischio di Alzheimer. Gli studiosi ipotizzano che i portatori del gene APOEe4 assorbono meglio la vitamina D a livello intestinale, il che potrebbe ridurre l’effetto di una supplementazione della sostanza.  

Ricerche precedenti avevano indicato che bassi livelli di vitamina D sono collegati a un maggior rischio di demenza. La vitamina D è coinvolta infatti nello smaltimento cerebrale della proteina amiloide, il cui accumulo è uno dei segni distintivi dell’Alzheimer. Studi hanno anche suggerito che la vitamina D può aiutare a proteggere il cervello dall’accumulo di proteina tau, anch’essa coinvolta nello sviluppo della demenza. 

“Prevenire la demenza o addirittura ritardarne l’insorgenza è di vitale importanza considerato il crescente numero di persone colpite – commenta Byron Creese dell’Università di Exeter, coautore della nuova ricerca – Questo studio suggerisce che l’assunzione di integratori a base di vitamina D può essere utile nel prevenire o ritardare la demenza, ma ora abbiamo bisogno di trial clinici per confermare se è davvero così”.  

Una ricerca denominata VitaMind, in corso presso l’ateneo Uk, “sta esplorando ulteriormente questo legame – precisa l’esperto – assegnando in modo casuale i partecipanti ad assumere vitamina D o placebo, e analizzando nel tempo eventuali cambiamenti nei test di memoria e di pensiero”. 

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