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Lega, Follini: “Salvini alleato governo irrequieto e il rischio deriva identitaria”

(Adnkronos) - (di Marco Follini) - "Matteo Salvini è l’alleato irrequieto di Giorgia Meloni. Le promette fedeltà ma non le risparmia inquietudini e stilettate. Assicura che il governo durerà tutti i cinque anni di questa legislatura e magari anche i cinque che verranno dopo. Ma intanto semina una discreta quantità di mine pronte a esplodere…

(Adnkronos) – (di Marco Follini) – “Matteo Salvini è l’alleato irrequieto di Giorgia Meloni. Le promette fedeltà ma non le risparmia inquietudini e stilettate. Assicura che il governo durerà tutti i cinque anni di questa legislatura e magari anche i cinque che verranno dopo. Ma intanto semina una discreta quantità di mine pronte a esplodere sul cammino che conduce da qui alle elezioni europee. E già in queste ore l’invito a Marine Le Pen sul prato di Pontida ha l’effetto di scombinare i giochi continentali alle viste. Con qualche imbarazzo dalle parti di Palazzo Chigi, c’è da supporre. 

Finché possono, sia Salvini che Meloni hanno tutto l’interesse a tenere sotto controllo certe loro differenze. Il centrodestra si è sempre fatto vanto di essere più unito dell’altra compagnia di giro, quella di centrosinistra. In più, il fatto di trovarsi ora al governo può lenire certi dissensi in nome delle supreme esigenze di maggioranza. Dunque, può anche capitare che non succeda nulla e che l’annuncio di nuove turbolenze sia solo un luogo comune. 

E però nella vita dei governi e delle loro maggioranze esistono sempre due tipi di conflitti. Quelli tattici e quelli identitari. C’è un tirare la corda in nome di interessi di partito che si ferma alle soglie del rischio di rottura della maggioranza. E c’è lo spezzarsi di quella corda quando i partiti avvertono che è in gioco qualcosa di più e di diverso dal vincolo di coalizione. Nel primo caso il fumo è più dell’arrosto. Nel secondo ad arrostire è il governo. 

La lunga stagione della prima repubblica ci aveva abituati all’andirivieni di governi che si riproducevano cercando di confermare le coalizioni. Così, capitava che uno dei partiti di maggioranza si sfilasse, per poi tornare a sedersi allo stesso tavolo in cambio di qualche aggiornamento del programma e/o della squadra. Salvo le poche volte in cui invece cambiava il quadro politico e dunque il formato di maggioranza. Quando si varò il centrosinistra, ad esempio. O qualche anno dopo, la solidarietà nazionale. O dopo ancora, il pentapartito. 

Questa abitudine si è riprodotta anche nella seconda repubblica. Anche qui, però, con qualche variante. Infatti, in almeno due, tre occasioni, le maggioranze si ruppero su conflitti identitari assai sentiti e profondi. Nel 94 Bossi affondò il primo governo Berlusconi in nome della differenza politica e a quel tempo quasi antropologica che separava quei due mondi affidati alle rispettive cure. E nel 98 Bertinotti affondò il primo governo Prodi di cui non condivideva i più fondamentali provvedimenti economici. 

Quelle due coalizioni vennero ricucite, qualche tempo dopo. Ma quei due strappi in qualche modo lasciarono il segno, tutti e due. Berlusconi infatti ci mise qualche anno a trovare il bandolo della matassa della sua metà campo. E solo dopo riuscì a riannodare con la Lega di Bossi un rapporto perfino troppo stretto. Mentre Prodi ricostruì una nuova coalizione, apparentemente senza più nemici a sinistra. Ma quegli argomenti e quegli umori di cui anni prima s’era fatto interprete il leader di Rifondazione guastarono ben presto la festa del suo ritorno in quel di Palazzo Chigi. 

In realtà quelle due ricuciture furono assai diverse. Poiché Bossi alla fin fine scoprì che in quel mondo di Berlusconi a cui si era sentito inizialmente così estraneo si poteva invece assai comodamente prendere alloggio. Mentre la sinistra radicale fece più fatica a trovar posto nella successiva versione di Prodi. Così da farlo cadere un’altra volta una decina d’anni dopo. 

Per questo è assai probabile che Salvini cercherà di misurare attentamente le forze per decidere se tener fermo il vincolo di maggioranza oppure assecondare prima o poi la sua deriva identitaria. Seguendo la quale egli si troverebbe paradossalmente a fare appello alla Meloni di prima contro la Meloni di adesso. Un bivio a ridosso del quale la stessa premier comincia a trovarsi da un po’ di tempo a questa parte. Così da rendere assai più difficile ogni pronostico”.  

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