(Adnkronos) – “La doppia difficoltà di Salvini e di Conte (più del primo che del secondo, in verità) dovrebbe far riflettere sui destini del populismo una volta che la sua onda di piena sia passata e si tratti di cimentarsi con i più prosaici affanni della quotidianità politica.
Si dirà che in difficoltà di questi tempi ci sono un po’ tutti, e che nessuno dei leader di partito, anche tra quelli che appaiono più sulla cresta dell’onda, sta attraversando un prato fiorito. Del resto, basta misurare il tasso di astensionismo elettorale per avere contezza della profondità della crisi che la nostra democrazia rappresentativa sta attraversando.
Eppure c’è qualcosa di peculiare che riguarda la parabola dei due leader più significativi del primo tratto di questa legislatura: Salvini e Conte, per l’appunto. Il leader leghista è alle prese con il “pasticciaccio” del suo (mancato) viaggio a Mosca. Una missione di pace (?) immaginata nel piano di una guerra di aggressione e non coordinata con il governo di cui il leader leghista fa parte -sia pure per interposti ministri. Uno scivolone in piena regola a detta di tutti, e perfino ormai degli stessi esponenti dell’establishment del suo partito.
Conte a sua volta si misura con le difficoltà del suo partito, chiamiamolo così. Che non sembra avere nessuna reale intenzione di far parte a pieno titolo -doveri inclusi- di una canonica coalizione di centrosinistra. Che sul territorio mostra i segni di divisioni e rivalità che il leader non riesce ad arginare. Che continua ad essere oggetto di una querelle giudiziaria che mette in questione perfino la titolarità del simbolo. E che soprattutto subisce un’emorragia di consensi ad ogni pur piccola prova elettorale.
Ovviamente le due storie sono assai diverse, e i loro destini possono variare di molto. Salvini può citare a suo favore numeri meno brillanti di qualche mese fa, ma pur sempre largamente superiori a quelli che alla fine della loro corsa gli avevano lasciato in eredità Bossi e Maroni. Tant’è che i mugugni interni non sono ancora esplosi in maniera troppo fragorosa. Conte a sua volta può poggiare la sua strategia di risalita sul proprio ancora cospicuo indice di popolarità, che lo pone tuttora nei rami alti della classifica di gradimento dei leader. E per quanto la sua sfida sembri impari al cospetto della profondità della crisi grillina, non si può dire che non abbia anche lui qualche freccia al suo arco.
Eppure farebbero male, tutti e due, a confidare più di tanto nel favore della sorte. Infatti, in un contesto politico così movimentato e nervoso, entrambi sembrano avere imboccato una china discendente che minaccia di accelerare mano a mano che ci si avvicina alle elezioni politiche. Un appuntamento che per il momento frena contestazioni e malumori interni, ma che infine potrebbe consegnare all’uno e all’altro numeri assai meno gloriosi di quelli che entrambi si aspettavano appena pochi mesi fa.
Il punto è che queste due difficoltà, al netto dei loro caratteri più singolari, alludono a un problema fondamentale delle democrazie contemporanee. E cioè al fatto che la curva del populismo non conosce gradualità, né verso l’alto né verso il basso. Essa si impenna nei momenti propizi e sembra travolgere con la sua forza insediamenti più antichi che vengono presi di mira e magari abbattuti nel volgere di pochi, pochissimi mesi. Poi però quella stessa curva si piega verso il basso e quasi precipita fino a cancellare le speranze, le attese e le mitologie che l’avevano fatta nascere e crescere.
Tutto avviene quasi di punto in bianco. Gli altari vengono eretti in quattro e quattr’otto, la polvere arriva all’improvviso. Mentre i leader di una volta confidavano nel tempo e nella pazienza, a volte avendone fin troppo a disposizione, i leader che scommettono su umori e malumori li vedono piuttosto lievitare tutti e due d’emblèe, e ne sono esaltati e schiacciati nel breve arco di settimane, se non addirittura di giorni. Senza avere quasi la possibilità di elaborare con un minimo di calma né il favore dei momenti propizi né il disfavore di quelli meno fortunati.
Si chiama legge del contrappasso, la formulò a suo tempo Dante Alighieri e ce la lasciò poi in eredità”.
(di Marco Follini)