(Adnkronos) – Abbiamo fretta di emanciparci dalla dipendenza di gas dalla Russia. E stiamo cercando in giro per il mondo soluzioni percorribili, stando attenti a non finire vittima di altre dipendenze, potenzialmente imbarazzanti. Il premier Mario Draghi, da quando è iniziata la guerra in Ucraina, è stato più volte in Africa ed è appena volato in Israele, diventato un importante hub negli ultimi anni. L’obiettivo dichiarato è quello di sostituire buona parte delle forniture dalla Russia con nuovi canali di importazione. E il piano va avanti. C’è però un altro tema, politicamente più controverso, che sta riemergendo, ponendo un dilemma che ha radici lontane: cosa facciamo del gas naturale italiano, quello che potremmo estrarre in mare?
Una prima, significativa, risposta l’ha data il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “Credo che sia necessario rivedere il Pitesai alla luce di quello che sta succedendo”. Cos’é il Pitesai? E’ il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, ovvero la mappa dei siti dove è possibile estrarre idrocarburi. Cingolani spiega anche perché è necessario intervenire su questo fronte. “Dobbiamo perseguire da un lato la riduzione dell’uso totale del gas, e dall’altro, per quello che ci servirà ancora, usare sempre più gas da giacimenti nazionali”. Il paese, ha aggiunto, “deve essere indipendente dal punto di vista energetico. E’ stato sbagliato passare da un 20% di gas nazionale nel 2000 a un 3-4% nel 2020, senza ridurre i consumi, ma solo importando di più”.
Per l’esattezza, in base ai dati del ministero dello Sviluppo economico, nel 2021 l’Italia ha estratto 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale, mentre il consumo è attestato a 76,1 miliardi di metri cubi. Evidente che se si vuole ridurre l’importazione di gas si deve agire sulla riduzione dei consumi e sull’aumento delle estrazioni. Per altro, stando all’ultimo aggiornamento disponibile del Ministero della Transizione ecologica, nel periodo gennaio-aprile 2022
la produzione nazionale di gas, che include consumi e perdite, è calata del 10%. Significativi i dati di aprile, mese che sconta tutti gli effetti della guerra in Ucraina, che fa segnare -3,3% per la produzione nazionale e -8,5% per le importazioni.
Sempre il Pitesai dice dove sono i principali giacimenti di gas in Italia. La maggior parte sono nel Mar Adriatico, davanti alle coste dell’Emilia Romagna, delle Marche, dell’Abruzzo e del Molise, ma ce ne sono altri nel Canale di Sicilia, e ci sono riserve anche nel fondale dello Ionio e a nord-ovest della Sardegna. In Italia ci sono 1.298 pozzi produttivi di gas naturale. Tra questi, 514 sono ‘eroganti’, e quindi solo utilizzati per le estrazioni; 750 ‘non eroganti’, ovvero non sono attivi attivi. Altri 32 pozzi servono alla manutenzione e ad altri utilizzi.
Non sono comunque pochi e sarebbero in grado di garantire, secondo le stime del Mise, 350 miliardi di metri cubi di gas naturale, tra riserve confermate e potenziali. Servirebbe però un indirizzo politico chiaro, e decisioni in grado di tenere insieme le nuove esigenze di approvvigionamento di gas con la tutela dell’ambiente e con le istanze dei territori coinvolti. Uscendo dall’eterno dilemma sì o no alle trivelle e facendo lavorare quelle che possono avere un impatto sostenibile.