(Adnkronos) – Nel 2022 il consumo netto di gas naturale è diminuito di 7,5 miliardi di metri cubi, attestandosi a 67,3 mld di metri cubi (-10% rispetto al 2021). I consumi del settore industriale sono scesi del -15,5% e quelli della generazione termoelettrica del -4,1%. Livello minimo raggiunto anche per ‘Commercio e servizi’, dopo il rimbalzo post pandemia del 2021, segnando un -15%. Altrettanto è accaduto per i consumi di gas legati ai trasporti a -18% e il settore domestico, che tra misure per il contenimento dei consumi e inverno tra i più miti scendono del 13,5%. E’ quanto si legge nella relazione annuale 2023 dell’Arera che è stata illustrata oggi dal presidente Stefano Besseghini
Rallenta ma non si arresta la discesa della produzione nazionale che nel 2022 registra un -2,7% rispetto al 2021. Sono stati complessivamente estratti 3,4 mld di metri cubi di gas naturale: 1,75 mld dal mare e 1,65 dai campi situati in terraferma. Il grado di dipendenza dell’Italia dalle forniture estere è salito alla quasi totalità 99% (dal 93,5% del 2021). Eni controlla il 66% circa della produzione nazionale, dal 70% dell’anno precedente, a distanza il gruppo Royal Dutch Shell stabile al 16%.
Stabili le importazioni lorde a 72,6 mld di metri cubi, ma aumenta l’indipendenza da quelle russe (dimezzate dal 40% a poco meno del 20% del totale). L’Algeria è diventato il primo paese fornitore con circa il 36%, segue la Russia e poi l’Azerbaigian con circa il 15%. Nella classifica vi sono poi: il Qatar, da cui arriva il 10% del gas complessivamente importato in Italia (9,4% nel 2021), seguito dalla Norvegia (passata dal 2,7% del 2021 all’8,6% del 2022) e poi la Libia stabile al 4,3%, con nuove rotte di Gnl dall’Africa in fase di negoziazione a livello governativo. Dei 73 mld di m3 di gas importato in Italia, 14,5 (erano 9,9 nel 2021) mld di m3 sono giunti via nave. Accanto alle tradizionali – e maggioritarie – provenienze da Qatar, Algeria e Stati Uniti che insieme incidono per l’88% di tutto il Gnl importato, nell’importazione via nave degli ultimi anni stanno assumendo importanza altri paesi: Spagna, Egitto e Nigeria.
Arretra notevolmente Eni, che rimane al primo posto delle imprese importatrici, con una quota di mercato del 41,9% (48,4% nel 2021). Insieme i primi tre importatori hanno approvvigionato il 70,1% del gas entrato nel mercato italiano (era 72,4% nel 2021). I volumi di gas esportato sono triplicati rispetto al 2021, salendo da 1,5 a 4,6 miliardi di m3. Alla crescita hanno probabilmente contribuito la ridotta disponibilità di energia elettrica prodotta dagli impianti nucleari francesi e la siccità che ha causato un calo della produzione idroelettrica, in particolare nel sud dell’Europa.
In aumento anche i volumi immagazzinati che a fine anno sono risultati di circa 2,6 miliardi di m3 superiori ai quantitativi di inizio anno, anche per effetto delle misure governative prese per assicurare un elevato livello di riempimento. Nell’anno termico 2022-2023 lo spazio complessivo del sistema di stoccaggio è stato di 17,7 miliardi di m3, comprensivi dei 4,6 miliardi di riserva strategica.
Come per l’elettrico, nel corso del 2022 i diversi interventi pubblici hanno ridotto la bolletta finale dei clienti domestici, contrastando gli alti prezzi della fase di crisi. Nel caso italiano infatti molti degli interventi hanno garantito un contenimento dei prezzi anche a valle della loro formazione, attraverso soprattutto lo strumento dei bonus che ha protetto in modo selettivo fasce sempre più ampie di consumatori in difficoltà economiche. In altre esperienze europee l’intervento è stato invece a monte, incidendo direttamente sulla formazione del prezzo nei mercati all’ingrosso. Per l’Italia inoltre ha pesato una dipendenza più forte dal gas come fonte diretta di consumo o di generazione elettrica, mentre altri grandi paesi europei hanno potuto fare affidamento ad altre fonti meno impattate dalla crisi (ad esempio nucleare in Francia o carbone in Germania).
Ne risulta che anche nel 2022 i prezzi del gas naturale per i consumatori domestici italiani (senza quindi considerare gli effetti dei bonus per il nostro Paese), comprensivi di oneri e imposte, sono stati più alti della media dei prezzi dell’Area euro per tutte le classi di consumo anche a fronte dei prezzi più elevati mai registrati. Per la prima classe di consumo (< 520 m3/anno), in particolare, si è registrato un lieve aumento dei prezzi lordi, +6% rispetto all’Area euro (era +11% nel 2021). Per la classe dove si presenta la quota maggiore del totale dei consumi domestici (la classe 520-5.200 m3/anno con il 71,8% dei consumi), si riduce di poco il divario con la media dei prezzi lordi dell’Area euro, passando al +9% (era il +12%). Per la classe oltre 5.200 m3/a (perlopiù riscaldamenti centralizzati) il valore è stato invece del +29%, in aumento rispetto al +21% dell’anno precedente. In termini di prezzi netti il differenziale con l’Area euro è aumentato per tutte le classi di consumo.
La componente oneri e imposte cala per tutte e tre le classi, e il differenziale con l’Area euro, che era ancora pari al +9% nel 2021, diviene fortemente negativo e pari in media al -31% rispetto alla media Area euro: il vantaggio risulta superiore per i clienti domestici della prima classe (con un differenziale del -85%) rispetto a quelli della seconda classe (-29%), mentre l’ultima classe presenta un differenziale blandamente positivo (+3%).
Gli esiti di cui sopra, spiega Arera, sono dovuti a dinamiche di aumento dei prezzi netti, sia in Italia che nell’Area euro, verificatesi però in modo più marcato in Italia (in media +81% contro +55%), a fronte di un calo delle componenti fiscali, quale conseguenza delle misure di sostegno adottate, più significativo in Italia (in media -45%) che nell’Area euro (in media -14%). Guardando al confronto con i principali paesi europei, il prezzo italiano lordo (11,1 c€/kWh) risulta in media quello più elevato, con differenze positive trascurabili rispetto alla Spagna (11,02 c€/kWh), più elevate rispetto alla Francia (9,59 c€/kWh) e massime rispetto alla Germania (8,53 c€/kWh).
Per la classe di consumo più bassa il prezzo italiano (13,85 c€/kWh), comprensivo delle imposte, rimane inferiore, come in passato, solo a quello francese (14,97 c€/kWh). Nella seconda classe il prezzo spagnolo, che era più elevato di quello italiano nel 2021, risulta nel 2022 marginalmente più conveniente (10,32 c€/kWh) di quello del nostro Paese (10,4 c€/kWh). I prezzi più convenienti si confermano, in tutte le classi, quelli tedeschi. Si segnala un miglioramento delle differenze rispetto ai prezzi tedeschi (da +29% a +19%) e spagnoli (da +8% a +1%) con riferimento alla prima classe di consumo.
A fine 2021 i prezzi ai principali hub europei avevano raggiunto 115 euro/MWh, per poi cedere qualcosa. Con lo scoppio della guerra in Ucraina in marzo raggiungevano i primi record a 120-130 euro/MWh, con punte sui 200 euro/MWh. Nel corso dell’estate la progressiva riduzione di gas russo e la necessità di procedere rapidamente al riempimento degli stoccaggi che stava avanzando a ritmi troppo bassi, determinavano un forte squilibrio domanda/offerta che, insieme ad alcuni fattori congiunturali, spingevano i prezzi spot su livelli mai raggiunti prima: ad agosto, 230 euro/MWh circa in media mensile, con punte giornaliere vicine ai 320 euro/MWh, vale a dire un valore pari a quasi quindici volte il prezzo medio nel decennio 2011-2021.
Dopo un calo nel primo autunno, le quotazioni del gas hanno ripreso a salire progressivamente a causa dell’aumento della domanda per riscaldamento e per un’incertezza dell’offerta senza precedenti, cui hanno contribuito anche problemi nelle centrali nucleari francesi. Nella prima metà di dicembre i prezzi del Psv (il mercato all’ingrosso italiano) hanno nuovamente raggiunto i 140 euro/MWh, con un aumento del 55% rispetto alla media di novembre. Il Psv ha chiuso l’anno con un
valore medio di 124,8 euro/MWh, +167% rispetto al 2021 (47,2 euro/MWh) e quasi 8 volte la media del 2019 (16,4 euro/MWh).
I livelli record delle quotazioni agli hub si ripercuotevano gradualmente anche sui prezzi medi di importazione alle frontiere. Il valore medio indicativo del gas alle frontiere importato in Europa ha raggiunto i massimi in settembre e ottobre (155-160 euro/MWh), mentre quello alla frontiera italiana indicativamente in settembre (134 euro/MWh). L’indice Bafa, che rappresenta il prezzo mensile di importazione della Germania, media tra i valori del gas importato con contratti pluriennali e a breve termine, segna il massimo di 149 euro/MWh in agosto, anche se, come gli altri indicatori dei prezzi alla frontiera, rimane quasi costantemente inferiore ai prezzi spot agli hub.
A livello mondiale vi è stata una contrazione dell’1,5% circa dei consumi mondiali di gas, ma l’Europa ha conosciuto il maggior calo percentuale segnando il -14%. E’ quanto si legge nella relazione annuale 2023 dell’Arera che è stata illustrata oggi dal presidente Stefano Besseghini. In Asia Pacifico e Cina, la diminuzione della domanda è stata rispettivamente di -1,6% e -0,8%, in quest’ultimo caso con il primo calo della domanda dopo due decenni. Gli Usa, invece, hanno visto un sensibile incremento della domanda (+5,4%), determinato soprattutto dagli impieghi nel settore termoelettrico a seguito di un minor utilizzo del carbone per l’aumento del suo prezzo in confronto a quello del gas americano. Considerando i primi cinque mercati dell’Ue per dimensione, Germania, Italia, Francia, Olanda e Spagna, si osserva come la riduzione dei consumi si muova in un intervallo che va da un minimo di -3,8% della Spagna fino al -22% dei Paesi Bassi. L’Italia registra un – 9,9% e la Germania -15,3%. Nel Regno Unito la domanda si è ridotta del 7% circa.
In termini di produzione mondiale di gas, essa è risultata costante, ma al suo interno è aumentata la produzione di gas non convenzionale, passata dal 25% del totale 2021 al 31%. In Europa, la produzione è cresciuta del 3,6%, grazie all’apporto di Norvegia e Regno Unito. L’Ue-27 ha segnato invece una diminuzione del -7,7%, cui ha contribuito la programmata discesa della produzione del giacimento di Groningen in Olanda. A seguito della guerra in Ucraina, è cambiato il sistema di approvvigionamento europeo, in termini di flussi commerciali del gas scambiato a livello internazionale: c’è stato un massiccio ricorso al Gnl disponibile sul mercato internazionale, sono stati realizzati e/o programmati nuovi terminali di rigassificazione (galleggianti e su terraferma); in secondo luogo, vi è stato l’aumento, dove possibile, delle importazioni via gasdotto alternative al gas russo.
Nel 2021, l’Ue-27 aveva importato circa 375 mld di m3 (al lordo delle riesportazioni), l’80% via gasdotto e il 20% tramite Gnl. Nel 2022 le importazioni complessive sono diminuite a circa 360 mld di m3 (-3,6%), di cui il 64% via gasdotto e il 36% attraverso il Gnl. Le importazioni tramite gasdotto si sono ridotte del 21% circa (-63 mld di m3). La decisione dell’Ue di sostituire nel breve-medio termine le importazioni dalla Russia ha portato a una riduzione dei flussi da quel paese di circa 80 miliardi di m3. Nel 2021 la Russia pesava per il 50% circa delle importazioni Ue via gasdotto, nel 2022 ha inciso per il 28%. È proprio con il Gnl che, complice il calo della domanda, l’Unione europea è riuscita a sostituire il gas russo e a procedere nel corso dell’anno al riempimento degli stoccaggi. Nel 2022 l’UE ha importato circa 130 miliardi di m3 di Gnl, con un incremento del 63% rispetto al 2021 (80 miliardi di m3), dirottando in Europa flussi originariamente destinati all’Asia, dove nel frattempo la concorrenza dei prezzi record europei ha causato drastici cali di queste importazioni. Il 46% del Gnl importato in Ue-27 è provenuto dalle Americhe, in particolare dagli Usa, il 21% dall’Africa, il 15% dal Medio Oriente e il 15% dalla Russia con un incremento del 35% (+5 mld di m3) rispetto al 2021. Volumi aggiuntivi via gasdotto sono arrivati invece dalla Norvegia (+7 mld di m3) e dall’Azerbaijan (+3 mld di m3), mentre dall’Algeria c’è stato lo spostamento dei flussi dalla Spagna all’Italia, con un leggero calo nel complesso.