(Adnkronos) – Per garantire standard di sicurezza a madre e bambino “i punti nascita devono essere di almeno 1000 parti all’anno e mai meno di 500”, nell’organico “anche un anestesista e un pediatra con competenze specifiche neonatologiche”, è “impensabile che non si possa intervenire in caso di emergenza”. Così gli esperti delle associazioni dei medici ginecologi (Sigo) neonatologi (Sin) e degli Anestesisti-rianimatori (Siaarti) in Audizione alla Camera concernente “Iniziative per aggiornare gli standard per la distribuzione dei punti nascita” che si è svolta oggi nell’Aula della XII Commissione Affari sociali.
Molte le società scientifiche affiliate alla Federazione delle società medico-scientifiche italiane (Fism) che hanno portato un importante contributo, anche in questo contesto, al comparto legislativo, in rappresentanza delle varie specialità coinvolte nella gestione della salute di madre e bambino al momento del parto. “E’ importante il dialogo con il legislatore – ha dichiarato Loreto Gesualdo presidente Fism – Ringrazio l’onorevole Cappellacci per l’ascolto offerto alle Società scientifiche che restano a disposizione della commissione per ulteriori audizioni”.
Nell’audizione “portiamo quanto contenuto in un documento presentato poco più di un anno a fa, sugli ‘Standard organizzativi per l’assistenza perinatale in Italia’, realizzato con la collaborazione delle principali organizzazioni e società scientifiche che si interessano di punti nascita”, ha dichiarato Luigi Orfeo, Presidente Società italiana di neonatologia (Sin).
“Innanzitutto -ha continuato Orfeo – partiamo dal concetto che l’assistenza di ostetricia e neonatologia debba essere omogenea sui 2 livelli previsti: laddove è attiva un reparto di ostetricia di primo livello, ci sia una neonatologia per la piccola patologia neonatologica; a un secondo livello di ostetricia, in grado cioè di gestire la patologia materna ostetrica, corrisponda una neonatologia in grado di gestire anche un neonato patologico”.
Sulla numerosità dei parti necessari a un centro per garantire gli standard di sicurezza, si resta su “almeno 1000 nati all’anno e mai meno di 500 – ha ricordato il presidente Sin – Ricordiamoci che almeno 500 parti all’anno garantiscono lo standard minimo di competenza, sicurezza e qualità di assistenza. Nel caso di situazioni orografiche difficili si può scendere come numero, ma garantendo sempre i requisiti qualitativi e di salvaguardia. Nella scarsa numerosità le competenze sono più difficili da garantire, per questo i centri devono essere sottoposti a valutazione periodica degli esiti”.
La realtà è che “200 su 400 punti nascita, cioè il 50%, sono sotto gli 800 parti l’anno e 96, il 24%, ne hanno meno della soglia minima dei 500 – ha spiegato Orfeo – C’è una resistenza a chiudere questi punti nascita che non sempre possono garantire la stessa competenza di quelli dove nascono più bambini. Inoltre, purtroppo, questi centri con pochi parti, lavorano con personale a cottimo, a gettone, con cooperative, personale pensionato – si veda il decreto Calabria – operatori che non sempre hanno la competenza e il percorso formativo adeguato per la neonatologia”.
Per mantenere centri con volumi inferiori allo standard, oltre alla valutazione, tra le soluzioni proposte, c’è quella di “associare il centro più piccolo con uno più grande (hub) – ha osservato il neonatologo – Questo implica che l’organizzazione del centro hub sia adeguata. In alcune Regioni viene fatto, ma non senza difficoltà, perché partiamo sempre dal presupposto che non ci sono medici e specialisti in numero adeguato per le effettive necessità. È interessante – ha concluso Orfeo – il fatto che negli ospedali di montagna non nascono bambini patologici: questo significa che chi ha una gravidanza a rischio, va in un centro più grande. Chi ha una gravidanza fisiologica non può spostarsi?”
Anche la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), non è favorevole alla riapertura dei punti nascita con meno di 500 parti, già chiusi con il precedente Accordo Stato Regioni, e nel corso dell’audizione ha chiesto, soprattutto, “la rivalutazione degli standard di sicurezza di quelli tra i 500 e i 1000 parti, in quanto in questo momento lo standard di sicurezza previsto dalle attuali Buone Pratiche Cliniche potrebbe non essere garantito”, ha affermato Antonino Giarratano, presidente Siaarti.
“In questa nostra proposta ci sono varie tematiche già presentate al Ministero della Salute, nella bozza di revisione del Dm 70/2015 sui punti nascita e la sicurezza materno infantile. È impensabile – ha continuato Giarratano – che non ci sia un anestesista che possa intervenire in caso di emergenza. La gravidanza è quella che noi definiamo una situazione parafisiologica sia materna che infantile: ci sono situazioni di emergenza, come ad esempio un’emorragia ostetrica, che devono essere trattate tempestivamente perché sono fattori di mortalità”.
L’analisi dei registri di sorveglianza della mortalità materna (Itoss) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) “indicano in 8.9/100mila maternità, la mortalità complessiva – ha chiarito il presidente Siaarti – e identificano nell’emorragia, la prima causa diretta di morte, evento peraltro evitabile nel 50% dei casi ed espressione di una substandard care. Per questo serve un’organizzazione adeguata, che significa anche avere un servizio trasfusionale: non è pensabile che sia a distanza”.
“Dobbiamo prevedere la tutela della madre e del bambino h24 – ha aggiunto – Il medico specialista in Anestesista rianimazione terapia intensiva e del dolore (Artid) deve essere innanzitutto presente in un modello organizzativo che preveda la gestione della paziente in emergenza (Uo di Anestesia e rianimazione) e il supporto alle funzioni vitali (Terapia intensiva) e poi, non secondariamente, altamente qualificato e formato sulle peculiarità, fisiologiche e non, legate alla gravidanza, alla gestione del dolore in travaglio e a tutti gli eventi avversi frequenti o rari che si può trovare ad affrontare”.
La realtà dei “dati Cedap del 2020 rivelano che il medico Artid è presente solo nel 44% dei parti, contando il 32% circa dei tagli cesarei – ha sottolineato Giarratano – ed è presente solo nel 12 % circa dei parti spontanei, troppo poco per parlare di sicurezza del percorso e non in grado quindi di assolvere ad un Lea quello della partoanalgesia che in Italia è un diritto negato. Per questo serve un’organizzazione adeguata, che significa anche avere un servizio trasfusionale: non è pensabile che sia a distanza”.
Per i punti nascita “il presupposto fondamentale è la sicurezza, che significa avere a disposizione nell’organico anche un’anestesista e un pediatra con competenze specifiche neonatologiche”, ha ribadito, nel suo intervento, Nicola Colacurci, presidente della Sigo, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Come Sigo “siamo a disposizione – ha aggiunto – sia della formazione, sia di un sistema di certificazione, che ovviamente deve essere validato dal ministero della Salute, così che avrebbe un valore anche medico legale”.