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Crotone, le nuove testimonianze dei superstiti

(Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - Gli scafisti impedivano ai migranti, che gridavano per la paura sul barcone in balia delle onde, a pochi km dalle coste di Crotone, di lanciare l'allarme per "paura di essere arrestati". Poi, in piena notte, lo schianto sulla secca. E la fuga degli scafisti. Un testimone racconta di avere…

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Gli scafisti impedivano ai migranti, che gridavano per la paura sul barcone in balia delle onde, a pochi km dalle coste di Crotone, di lanciare l’allarme per “paura di essere arrestati”. Poi, in piena notte, lo schianto sulla secca. E la fuga degli scafisti. Un testimone racconta di avere tentato di bloccarli, senza riuscirci. Un altro superstite racconta che uno degli scafisti ha messo un video su Tik Tok mentre è al timone. Altri due dicono di essersi salvati solo grazie a un “pezzo di legno che galleggiava”. Nuove testimonianze dei superstiti del naufragio dello scorso 26 febbraio, raccolte lo scorso primo marzo dagli inquirenti che stanno indagando sulla tragedia, costata ala vita, fino a questo momento, a 79 vittime, e con decine di dispersi. Mentre il mare continua a restituire nuovi cadaveri. Solo oggi altri tre, tra cui due bambini.  

I racconti dei testimoni sono stati raccolti in cinque nuovi verbali, visionati dall’Adnkronos, trasmessi alla Procura di Crotona, che coordina l’inchiesta. “Appena giunta vicino alla spiaggia italiana, nel tardo pomeriggio del 25 febbraio, uno scafista turco ci ha detto che eravamo giunti in Italia e che potevamo salire sopra coperta per pochi minuti. Abbiamo fatto pure un piccolo video inneggiando alla fine del viaggio anche se non riuscivamo a vedere la costa. Nonostante ciò l’imbarcazione spegneva il motore senza pertanto navigare verso costa. In quel momento”, uno dei due scafisti “faceva dei video con il proprio telefono cellulare inneggiando a un trafficante asserendo che i suoi migranti erano giunti in Italia”, racconta una superstite del naufragio. “Avete chiesto perché l’imbarcazione non raggiungeva la costa”, chiede l’inquirente alla donna. Risposta: “Lo abbiamo chiesto ma questi non rispondevano. Intanto il mare diveniva sempre più agitato e uno degli scafisti turchi ci mostrava una mappa sul cellulare cercando di tranquillizzarci e dicendoci che eravamo ormai vicini all’Italia”.  

“Nonostante ciò noi ci stavamo un po’ agitando perché non comprendevamo il motivo per cui si stava esitando a raggiungere la costa – prosegue la superstite – Peraltro noi non potevamo nemmeno telefonare ai soccorsi perché i membri dell’equipaggio erano dotati di un sistema elettronico che bloccava le linee telefoniche. Gli scafisti, invece, erano dotati di una ricetrasmittente satellitare ma non chiamavano i soccorsi, peraltro gli scafisti avevano anche invertito la rotta allontanandosi”.  

In questa fase gli scafisti “scendevano sottocoperta a dirci di non denunciarli alla Polizia in caso di controllo ma di riferire che erano migranti come noi”. Ed ecco un’altra testimonianza: “Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio la barca ha cambiato più volte la velocità di navigazione, alcune volte accelerava, poi si fermava. A un certo punto, io ho visto delle luci provenienti dalla spiaggia, in quel momento la barca stava navigando ad alta velocità per poi virare repentinamente. Subito dopo questa manovra l’imbarcazione si capovolgeva spezzandosi e imbarcando acqua. A questo punto è scoppiato il panico e ho appreso da altri che gli scafisti erano fuggiti via con un gommone”. “Dopo cinque giorni di navigazione – dice un altro sopravvissuto a verbale – sapevamo di essere in prossimità delle coste italiane, quando ho sentito un forte rumore, e da una falla nello scafo abbiamo cominciato a imbarcare acqua. Il livello di acqua sottocoperta è salito molto rapidamente generando il caos a bordo. Salito in coperta, mi sono ritrovato in acqua e mi sono aggrappato a un pezzo di legno. La corrente mi ha spinto via”. Tassello dopo tassello gli inquirenti provano a fare luce su quanto accaduto. Sono quattro i presunti scafisti in carcere, tra cui un minorenne. “Gli scafisti, a quel punto, hanno detto ai migranti a bordo di abbandonare il natante perché stava affondando”, racconta ancora la testimone.  

Non solo. Ci sarebbe anche un video su Tik Tok che riprende uno dei due scafisti “nei pressi del timone” della barca naufragata davanti lo scorso 26 febbraio davanti alle coste di Steccato di Cutro (Crotone). Il video sarebbe stato registrato da uno degli scafisti. “Mi è stato inviato dalla sorella di L. (una delle sopravvissute al naufragio ndr). La sorella ha recuperato il video tramite il social Tik Tok”, dice un sopravvissuto.  

E ancora, un’altra testimonianza: “La barca procedeva molto lentamente e noi avremmo voluto chiedere l’intervento dei soccorsi ma chi conduceva la barca per tranquillizzarci ci deve vedere su un tablet che saremmo arrivati a breve”. “Dopo cinque giorni di navigazione – prosegue – sapevamo di essere in prossimità delle coste italiane, quando ho sentito un forte rumore, e da una falla nello scafo abbiamo cominciato a imbarcare acqua. Il livello di acqua sottocoperta è salito molto rapidamente generando il caos a bordo. Salito in coperta, mi sono ritrovato in acqua e mi sono aggrappato a un pezzo di legno. La corrente mi ha spinto via”. Poi racconta ancora che al timone della barca affondata davanti alle coste di Steccato di Cutro (Crotone) “si alternavano due soggetti che parlavano esclusivamente il turco, sia due che parlavano alternativamente turco e arabo, di questi non ho certezza dello Stato di provenienza. Oltre a questi soggetti vi erano anche due persone di nazionalità pakistana che, ricevendo ordini dai turchi, ci indicavano quando poter salire in coperta per prendere una boccata di aria o per esigenze fisiologiche”. 

Altre testimonianze, tra le lacrime: “Quando gli scafisti hanno sentito che chiedevamo aiuto hanno cercato di fuggire, io ho provato a bloccarli e in particolare ho cercato di fermare un turco, ma questi mi ha strattonato e si è tuffato in acqua. o provato la stessa cosa con l’altro turco ma lui è riuscito a spingermi tuffandosi in acqua anche lui. I due turchi sono fuggiti a nuoto. Ho provato a bloccare anche il cittadino siriano ma mi è sfuggito”. Sentito nei giorni scorsi dagli investigatori che hanno messo a verbale le sue dichiarazioni, ha raccontato quanto accaduto quella notte tra il 25 e il 26 febbraio.  

“Infine sono riuscito a bloccare un terzo turco ma solo per pochi istanti, perché ho dovuto mettermi in salvo. Poi l’ho rivisto sulla spiaggia nascosti in mezzo agli altri fino a quando tutti i li hanno additato come responsabile della tragedia. Poco dopo sono arrivate le forze di Polizia che lo hanno fermato”.  

Una giovane donna pakistana racconta: “Ho sempre avuto paura che l’imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del maree non erano delle migliori e le donne e i bambini impaurite, in queste circostanze, hanno sempre pianto e gridato aiuto, perché si temeva che la barca potesse affondare in mare aperto”. “L’imbarcazione era in condizioni pessime e non siamo mai stati equipaggiati con nessun giubbotto di salvataggio o altro sistema di salvataggio”, aggiungono ancora. 

Intanto, è previsto entro martedì prossimo il trasferimento delle ultime bare con le salme che si trovano da due settimane al Palamilone di Crotone. Fino ad oggi sono state trasferite 40 salme tra Afghanistan, Germania, Iran e Pakistan. Entro stasera sono previste due partenze per il cimitero musulmano di Borgo Panigale a Bologna come richiesto dalle famiglie delle vittime. Nel Palamilone di Crotone resteranno 37 bare comprese quelle delle sei vittime recuperate dal mare tra ieri e oggi. Per domani è previsto l’espatrio di 9 salme ed entro le ore successive le partenze delle altre, sempre verso Afghanistan, Germania, Iran e Pakistan. Restano da identificare sei corpi tra i quali cinque dei sei recuperati tra ieri ed oggi, e uno trovato nei giorni scorsi.  

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