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Benedetto XVI, nel 2010 la storica visita alla Sinagoga di Roma

(Adnkronos) - Tra gli eventi più significativi del magistero di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, c'è la visita compiuta alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio del 2010, secondo Papa nella storia a varcare quella soglia dopo l'appuntamento senza precedenti che aveva avuto per protagonisti Papa Giovanni Paolo II e il rabbino Elio Toaff nel…

(Adnkronos) – Tra gli eventi più significativi del magistero di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, c’è la visita compiuta alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio del 2010, secondo Papa nella storia a varcare quella soglia dopo l’appuntamento senza precedenti che aveva avuto per protagonisti Papa Giovanni Paolo II e il rabbino Elio Toaff nel 1986. Un toccante omaggio al rabbino capo Riccardo Di Segni, raggiunto all’esterno del Tempio Maggiore, aveva costituito il preludio a questo secondo incontro con l’ebraismo romano e italiano.  

“La dottrina del Concilio Vaticano II – dichiarò Ratzinger in Sinagoga – ha rappresentato per i cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi”.  

Benedetto XVI aveva poi rivendicato, nell’arco della sua missione, di “aver voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza”. Sostenendo inoltre che la Chiesa non avesse mai mancato “di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo”.  

Quanto alla Shoah, aveva detto Papa Ratzinger, “rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo”. Purtroppo, fu la sua ulteriore riflessione, “molti rimasero indifferenti, ma molti, anche fra i cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita”. 

“Cristiani ed ebrei – aveva sottolineato ancora il Papa – hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità”.  

Numerosi in questo senso i passi da “compiere insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra”. 

Molti gli osservatori che, anche sulle colonne della rivista “Pagine Ebraiche”, in un numero con vari approfondimenti andato in stampa la sera stessa del 17 gennaio 2010, avevano commentato la visita e i gesti che più l’avevano contraddistinta.  

“Per la prima volta – evidenziava la storica Anna Foa – un Papa ha reso omaggio alla lapide che ricorda la razzia degli ebrei romani il 16 ottobre e si è alzato dalla sua sedia in sinagoga per salutare i sopravvissuti dei campi. Tutto questo significa che stiamo volgendo avanti lo sguardo, verso un nuovo rispetto e una più stretta fraternità”.  

L’intensa giornata appena trascorsa, scriveva il matematico Giorgio Israel, “è stata la dimostrazione che quanti hanno voluto che la visita del papa si svolgesse avevano ragione”. Evidente, nella sua valutazione, “l’eredità, sia nelle parole di Ratzinger che in quelle dei leader ebraici, di un precedente incontro: tutti gli interventi, infatti, sono stati meno formali di quelli del 1986 e i punti sollevati ben specifici e, soprattutto, già inseriti in una prospettiva di un dialogo che può solo far ben sperare per il futuro”.  

Mordechai Lewy, l’allora ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, poneva tra le altre questa riflessione: “La capacità di sopravvivenza dell’ebraismo è garantita dalla fondazione dello Stato ebraico. I cattolici ci porgono la mano. Sarebbe insensato non afferrarla, a meno di non voler ipotecare il nostro futuro con una costante animosità con il mondo cattolico. I primi 2000 anni non legittimano una ripetizione. Entrambi meritiamo di meglio”.  

Antipatico come persona, ma onesto: questa l’opinione di Ratzinger che aveva Sergio Minerbi. L’ex ambasciatore, parlando con “Pagine Ebraiche”, sosteneva: “Ci volevano le contropalle per scrivere a tutti i vescovi ‘Mi sono sbagliato’ a proposito del caso Williamson. E lui lo ha fatto. Benedetto XVI è meno versato del predecessore nei gesti simbolici o, se vogliamo, spettacolari. Ma proprio questo costituisce un motivo di speranza”. 

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