È accaduto che il quotidiano “Il Messaggero” abbia diffuso, sulla sua finestra online, il video di uno stupro subìto da una donna ucraina a Piacenza da parte di un richiedente asilo. È accaduto che questo video sia stato immediatamente usato da Giorgia Meloni, sui suoi canali social, per chiedere maggiore sicurezza, tutela per le donne, controlli alle dogane, porti chiusi e tutto il repertorio che non ci interessa qui analizzare ma che ben conosciamo.
Certo è che, da quel momento in poi, sulla Rete non si è capito più niente. Immediatamente la querelle tra il pubblicare o meno quelle immagini è diventata la fonte d’ispirazione per cominciare polemicamente la mattinata. Chi di qua, chi di là, tutte e tutti sono passati alle parole “brevi” per legittimare o meno la pubblicazione del filmato e, come sempre avviene, mentre in lontananza sbiadiva il problema vero delle donne vittime di abusi sessuali, in primo piano emergeva, eruttava, esplodeva come lava incandescente da un vulcano, la melliflua arpìa di questa torrida estate: la disputa elettorale. Ogni leader, appoggiato dai “mi piace” dei gregari, ha cominciato così, con robusta sintassi e capacità di sintesi, a combattere la battaglia delle parole che cercano di spiegare perché io ho ragione e tu hai torto. Ma è bastato qualche motteggio in più, tre puntini di rimprovero alla fine di una frase, per far precipitare la situazione. Cosicché, già prima di pranzo, si era passati alle perifrastiche indolenti, al “chi sono io e chi sei tu”. All’ammazzacaffè, Facebook e Twitter grondavano di indecenti “vaffa” e indicibili insulti. I gregari sono così, gli dai un dito e loro si prendono tutta la tastiera. La eco ancora non si è spenta e sul campo si contano centinaia di migliaia di parole inutili. Sì, inutili.
Perché al centro rimane il problema della violenza contro le donne. È vero che in quel filmato non si vedeva nulla, ma è altrettanto vero che si sentiva tutto. Pubblicare il video di uno stupro è un’altra violenza nei confronti della donna che lo ha subito. Perché non è stato chiesto alla signora il suo benestare? Perché non le è stato concesso il diritto alla privacy e alla tutela del dolore? Perché si è abusato di lei per la seconda volta? Quella voce terrorizzata è come una stilla di sangue che gronda incessante dalla dignità di una donna sola di fronte a un sopruso. Sono certa che Meloni non avesse alcuna intenzione di approfittare della vittima. E sono sicura che sarà stata consigliata male da qualche “bestiale dito veloce” pronto a cogliere una provvidenziale occasione per attrarre clic e consenso. Così come sono convinta che Letta, Civati e tante e tanti altri le abbiano chiesto di cancellare il post per senso di umanità e non per speculazione, eppure resto con l’amaro in bocca. A chi ha pubblicato la notizia ricordo che la deontologia impone al giornalista una narrazione rispettosa della violenza subita dalle donne.
Non è possibile che nel 2022 si debba star qui a scrivere di simili indecenze. La violenza contro le donne è cosa seria che abbisogna di leggi, unioni, alleanze. Se Giorgia rimane di là ed Enrico di qua non riusciremo a salvare le prossime predestinate. Sono stufa di cercare la ragione nelle parole, pretendo la giustizia nei fatti. Un tweet in meno e un patto in più. Sarebbe una lezione di democrazia, a cominciare da questa campagna elettorale, provare a stringere accordi bipartisan su argomenti che non ammettono divisioni. Ma, dopo aver scritto quest’ultima frase, mi accorgo di essere entrata nella stanza delle utopie. Stanotte dormirò qui.
Bentornato,
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