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I sondaggi annunciano l’astensione

I veri protagonisti della tornata elettorale? I sondaggi. Non c’è giorno che non arrivi in redazione un dispaccio con le ultime percentuali “appena aggiornate”. Roba da perderci la testa.

Basta un’omelia di Padre Enrico della pace divina (Pd), un tweet di Carletto “sotuttoio”, una favoletta di Silvio Grimm o una sgridata di Giorgia la dolce per cambiare in un attimo testo e contesto. Lo stesso accade se a parlare sono el siur Matteo, lo nobile Giuseppi o Giggino l’atlantista. La gara ormai è a scaglioni.

In testa i predestinati a giocarsi la possibilità di diventare il primo partito del Paese. Vittoria assai relativa perché, senza alleanze, puoi essere primo quanto vuoi, ma al governo non ci vai. A meno che non prenda il cinquanta per cento. Seee, domani! Seguono i cosiddetti “voglio, ma non posso”, cioè quelli a un passo dalla decina. E poi sempre più giù, fino ad arrivare… al duro e puro Fratoianni.

I sondaggi sono stratificati. Non solo per età e censo, ma anche per professione. Ne hanno fatto uno ai commercianti. Hai voglia a girare per paesini, hai fiato a cercarli nei quartieri di periferia. Ovunque gli incaricati hanno trovato solo saracinesche abbassate. «Scusate ed i commercianti?». «I commercianti – hanno risposto – qui non ci sono più e per questo le città sono molto più tristi e buie».

Allora i sondaggisti non si sono persi d’animo e ne hanno progettato un altro. La domanda è stata: «Cosa vi spingerebbe ad andare a votare anche se proprio non ne avete voglia?». Il cento per cento del campione intervistato ha risposto: «La promessa che questi – tutti questi – appena eletti, se ne vadano in esilio in Gradassia». La qual cosa è evidentemente improponibile, ma ben spiega il fenomeno dell’astensionismo.

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