Cinque giorni per capire se restare o tornare in Italia, poi l’accorata comunicazione da parte del Console e dell’Ambasciata italiana, e quindi la fuga: 36 ore di viaggio in un convoglio che raccoglieva cittadini di ogni nazionalità. Giovedì notte, finalmente, l’arrivo a casa, dalla famiglia. Per il top-manager brindisino Fortunato Guadalupi, 57 anni tra tre settimane, gli ultimi giorni di vita sono scene da film. Ma le bombe erano vere, l’invasione è vera. Come è vera la sua voglia di tornare a Kiev.
«Il popolo ucraino ucraino sta dando una lezione di dignità e attaccamento alla patria», dice, indossando un cappellino giallo e blu con la scritta Ucraina indipendente. Guadalupi il paese lo conosce bene. Ci era stato la prima volta dal 1995 al 1999, come direttore generale della nascente Parmalat ucraina. Poi era andato in India, Thailandia, Vietnam, sempre per conto del gruppo che l’imprenditore parmigiano Tanzi aveva reso grande nel mondo. Poco più di sette anni fa il ritorno in Ucraina, chiamato da un imprenditore locale come consulente della sua Terra Food, della quale presto è divenuto Ceo.
Che situazione ha lasciato?
«La nostra azienda produce latte, formaggi e derivati. Continuiamo a produrre, ma iniziano a scarseggiare i prodotti, i grassi, il packaging. Lavoriamo al 30-40% delle nostre potenzialità. E ora è sempre più difficile reperire anche cisterne, camion, petrolio».
Malgrado la partenza obbligata, continua a parlare come se fosse lì.
«Sono lì con il cuore. E lavoro da casa, anche se ho dovuto trasferire i poteri di firma, per ovvi motivi. Ma sono ogni giorno in contatto con il proprietario e con il mio staff. Siamo un gruppo spettacolare».
Eravate preparati all’escalation?
«Avevamo un “contingency plan”, un piano di emergenza che stabiliva come operare in caso di crisi. Di certo non eravamo pronti al bombardamento criminale e nazista che i russi stanno portando avanti così a tappeto».
Teme per i vostri stabilimenti?
«A sud le fabbriche di Danone, Nestlè, Mon Delez sono già occupate dalle truppe di invasione russa».
Com’è stato il viaggio di rientro?
«Allucinante. Ho sperato fino all’ultimo di poter rimanere. Per cinque giorni sono rimasto vestito, sotto le bombe, in attesa di capire il da farsi. Poi sono arrivati i messaggi della Farnesina e dell’Ambasciata. Mi ha chiamato il console e poi l’ambasciatore Pierfrancesco Zazo, che conosco da 25 anni, e nel giro di un paio d’ore un amico è venuto a prendermi, mi hanno portato in una residenza dell’ambasciata e poi da lì siamo partiti».
Quanti eravate?
«Nel convoglio c’erano cittadini di diverse nazionalità. Abbiamo viaggiato per 36 ore, riposato per strada, poi in una scuola, sul pavimento, cambiato itinerario più volte. Una esperienza allucinante, ma devo dire ben organizzato e devo fare i complimenti all’ambasciatore e alla Farnesina. Tuttavia il mio pensiero va a chi sta peggio. Penso al valoroso popolo ucraino, che l’aggressore russo vuole ridurre alla fame e alla sete, senza acqua, luce e cibo».
Ha riabbracciato sua figlia che vive qui a Brindisi…
«Già, compirà 16 anni l’11 marzo. Le avevo promesso che sarei stato qui il 10. Ho anticipato di qualche giorno».
Tornerebbe in Ucraina?
«Sono pronto a tornarci, non è la prima volta che ricostruisco. E lo faremo anche questa volta».