Arrampicarsi per sfidare se stessi o il mondo. Arrampicarsi per riappropriarsi di movimenti e sensazioni ancestrali, ormai così distanti da noi perché persi col tempo, nelle nostre vite spesso troppo frenetiche. Caterina Maiullari, da circa cinque anni, due volte a settimana da Altamura si sposta a Putignano per allenarsi al K2 Indoor.
È davvero una bella strada!
«Eh, sì. Da quando ho iniziato il corso al K2 non sono più riuscita a lasciare».
Quando ha incontrato per la prima volta questo mondo?
«Era la fine del 2015. Eravamo in dodici, tutti di Altamura e qualcuno di Matera e decidemmo di fare il corso di arrampicata a Putignano al K2 Indoor. Siamo partiti in tanti, ma alla fine sono rimasta solo io».
E l’idea di fare il corso da dove è nata?
«Facevo speleologia e il mio istruttore un giorno mi disse che mi avrebbe portato a provare un nuovo sport: “Anziché portarti giù, ti porto su!”. Organizzò un breve corso, durante un week-end, con due guide alpine al Pulo di Altamura (qui c’è una falesia dove si può scalare). Io gli dissi che mi era piaciuto tantissimo arrampicarmi e allora mi portò al K2. Mi sono comprata tutta l’attrezzatura che potesse servirmi per l’arrampicata: scarpette, corde, rinvii. Davvero tutto. Senza sapere se avrei effettivamente continuato».
Quando è davvero scattata la scintilla?
«Il 16 marzo del 2016. È stato il primo giorno in cui mi hanno portata a Pietra del Toro (nelle vicinanze di Campomaggiore, Basilicata n.d.r.) e là sono completamente “impazzita”. Sì, andavo in palestra, ogni tanto facevo qualche via (percorsi di arrampicata con corda n.d.r.) con i miei amici, qui al Pulo, però, quando ho scoperto il boulder all’aperto, ho capito che quella sarebbe stata la mia strada. Infatti, adesso pratico solo quello. Corda, raramente. Quindi, quando mi hanno portata lì e ho iniziato a vedere quei blocchi altissimi, mi sono chiesta quando sarei arrivata a raggiungere quelle altezze. E poi, ce l’ho fatta».
Che cosa è il boulder?
«Il boulder è una arrampicata, senza corda, su delle rocce che arrivano ad una altezza massima di sette o otto metri. Il boulder outdoor si pratica con un materasso che ci si porta in spalla, come uno zaino e si chiama crash pad. Ci sono diversi livelli di difficoltà, si va da 4 (il più facile) a 8. Ogni livello ha a sua volta dei gradi di difficoltà indicati dalle prime tre lettere dell’alfabeto. Ad ogni lettera si può aggiungere il più. Ad esempio, chi scala da poco può iniziare a farlo su un 5a o un 5c e man mano salire di grado. Io sono arrivata all’8a».
Il livello che ha raggiunto l’ha portata a toccare un importante primato nel Sud Italia.
«Sono tre anni che detengo il titolo di campionessa regionale. Ho iniziato a gareggiare da subito, appena arrivata al K2. Inizialmente, però, mi vergognavo, perché vedevo gli altri che erano tutti molto più forti di me, ma dopo qualche anno ho iniziato a vincere. Essere campionessa regionale mi serve per arrivare a fare gare a livello nazionale. Due anni fa ho partecipato alle gare di Coppa Italia e al Campionato. Purtroppo, a livello nazionale per me è molto difficile gareggiare, perché le palestre del nord hanno una impostazione e una tracciatura diverse dalle nostre e sono molto più moderne».
Nuove gare in vista?
«Sì, il 5 e 6 marzo in Abruzzo alla BlockLand. Sarà la prima tappa della Coppa Italia».
Scalare in palestra e scalare all’aperto. Cosa si prova?
«Secondo me sono due cose completamente diverse. Vedo la palestra come qualcosa da affrontare con determinazione e costanza estrema, che deve assolutamente portare al miglioramento e anche alla competizione per affrontare gare e obiettivi da raggiungere. Scalare all’esterno è, invece, un insieme di sensazioni e emozioni. Innanzitutto, sei sempre immerso nella natura e lo sei per tante ore, magari anche al freddo, ma senza accorgertene, perché senti di stare bene circondato da tanta bellezza, da animali e massi. Io amo la roccia da sempre. Mio padre è scultore, quindi, sono nata immersa in valanghe di pietra. Ho questo rapporto quasi maniacale con la roccia. Adoro toccarla, sentire profumi. Scalare diventa quasi un gesto meditativo, di liberazione. Sei lì che ti muovi con eleganza e cerchi di stare tranquillo, di sentire il corpo in ogni suo movimento. Sulla roccia, poi, non puoi sbagliare niente, devi trovare le tue soluzioni, che non saranno mai uguali a quelle di un’altra persona. Alla fine, sembra che ogni cosa si intrecci, l’una con l’altra».