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L’anno che insegnò l’accoglienza: Bari non dimentica lo sbarco della Vlora – FOTO

Dopo 31 anni, Bari non ha dimenticato, non ha messo in un cassetto impolverato le migliaia di cittadini albanesi che nel 1991 chiesero aiuto ai baresi, toccando terra nel porto barese, lanciandosi da una stracarica “Vlora”. La ormai famosa nave, che trasportò con grande fatica il suo carico di esseri umani in fuga, è fissata…
(foto di Luca Turi)

Dopo 31 anni, Bari non ha dimenticato, non ha messo in un cassetto impolverato le migliaia di cittadini albanesi che nel 1991 chiesero aiuto ai baresi, toccando terra nel porto barese, lanciandosi da una stracarica “Vlora”. La ormai famosa nave, che trasportò con grande fatica il suo carico di esseri umani in fuga, è fissata in maniera indelebile nei ricordi oltre che nelle foto di archivio.

(foto di Luca Turi)

Oggi pomeriggio, nel 31esimo anniversario dell’arrivo della nave Vlora nel porto di Bari, a partire dalla 18.30 il Comune ha organizzato, presso il largo “Sono persone”, a San Girolamo, “Per non dimenticare La Vlora”. Previsto un reading di poesie con testimonianze di cittadini appartenenti alla comunità albanese.

Alcuni alunni della scuola di lingua albanese a Bari “Le Aquile di Seta” leggeranno le poesie dell’opera “Bagëti e Bujqësi/I pascoli e i campi” dello scrittore albanese Naim Frasheri. Dopo il reading toccherà alla testimonianza di Alda Kushi, dottore di ricerca in diritto costituzionale comparato che collabora con il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, e di Roberto Laera, imprenditore italiano che lavora e vive a Tirana e che dal 2006 promuove con la società Italian Network un servizio agli imprenditori stranieri che vogliano investire in Albania, facilitando la start up d’impresa. Seguirà un momento dedicato alla musica. Parteciperà all’evento l’assessora comunale al Welfare.

“Le Aquile di Seta” è un’associazione senza scopo di lucro, costituita nel settembre del 2020 da un gruppo di donne di origine albanese che vivono, lavorano e studiano a Bari, e nasce con l’intento di promuovere la cultura e la storia albanesi realizzando iniziative al servizio e a supporto della comunità albanese in Italia e all’estero. Uno dei più importanti progetti realizzati dall’associazione è proprio la fondazione della scuola barese.

Primi anni 90, un esodo dietro l’altro. E chi arrivò a Bari dopo lo sbarco della Vlora, ne ereditò gli umori, le reazioni dei baresi che si erano trovati a gestire la prima vera sfida di inclusione sociale.

(foto di Luca Turi)

«Sono arrivata a Bari nel ‘93, due anni dopo la Vlora – ricorda l’avvocata Uljiana Gazidede – In Albania ne avevamo sentito parlare, sapevamo di come erano stati rinchiusi nello stadio, la differenza nell’accoglienza tra il primo e secondo esodo. Quell’anno riuscirono ad attraccare solo grazie al sindaco Dalfino, che si impose su tutti per dare accoglienza Fu lui che diede la possibilità a queste persone. Ma tanti, poi, furono rimpatriati con l’inganno, dicendo che li smistavano per altre parti d’Italia invece li misero sui pullman e poi sui voli messi a disposizione per i rimpatri. Dei 20 mila arrivati, pochissimi rimasero in Italia, solo quelli sfuggiti ai controlli, quelli che lasciavano lo stadio dicendo che si sentivano male».

Uljiana non aveva nessuna intenzione di venire in Italia, «in classe c’erano dei ragazzi rimpatriati che avevano avuto vestiti e qualche soldo – ricorda- Poi decisi di studiare giurisprudenza, e quando mi proposero l’università di Bari, a 18 anni dissi “Bari”, così, per caso. Poi quando arrivai qui scoprii che non eravamo assolutamente ben visti, anzi». La diffidenza malcelata, «ho fatto fatica per tanto tempo, se dicevi che eri albanese non esistevano amici, sparivano tutti – sorride -Io ero fortunata perché avevo tratti somatici diversi, mi prendevano per svedese, e parlavo già italiano. Però appena dicevo che ero albanese, prendevano le distanze, fare amicizia non è stato facile. All’università poi abbiamo fatto un bel gruppo e tuttora sono in contatto con loro».
Diffidenza, razzismo, preconcetti anche tra chi dovrebbe insegnare i principi dell’inclusione: «Una docente, al primo anno, invece di farmi domande su istituzioni di diritto romano, appena si rese conto che ero albanese, mi disse: “Ma siete anche qui?”. Era incavolata, le avevano rubato tre auto, diceva. E le sembrava strano che una ragazza albanese avesse finito gli esami entro l’appello straordinario. Se non porto esami non mi rinnovano il permesso di soggiorno, le spiegai. Il resto dei miei incontri fu indifferenza o accettazione. Sono stati duri, difficili, trovai un lavoretto come ragazza alla pari con una nonnina che mi dava ospitalità, mentre studiavo. Lei e le sue figlie furono molto care, le ricordo con affetto».

Tutte le foto presenti in questo articolo sono di Luca Turi (riproduzione riservata).

(foto di Luca Turi)
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