(Adnkronos) – Il rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Bce spinge i conti delle banche italiane. La politica monetaria restrittiva di Francoforte ha avuto effetti positivi immediati sugli istituti italiani, costretti a lavorare per anni in un contesto di tassi negativi. Con benefici sensibili sul margine di interesse del secondo trimestre. Ma i conti trimestrali presentati in questi giorni al mercato evidenziano anche un costo del rischio sotto controllo, a vantaggio degli indici di patrimonializzazione, e una posizione di capitale solida, che ha permesso di continuare a distribuire dividendi e procedere con i piani di buyback. Il tutto avanzando nel percorso di derisking e di riduzione dei crediti deteriorati. Tanto che diverse banche quotate a Piazza Affari hanno potuto alzare gli obiettivi finanziari per il 2022. Risultati che sono stati apprezzati dal mercato, che ha premiato le quotazioni dei gruppi italiani.
Il primo elemento che spicca dai risultati trimestrali delle banche italiane, spiega all’Adnkronos Andrea Scauri, gestore azionario Italia di Lemanik, società lussemburghese per la gestione del risparmio, è “la reattività di alcuni istituti all’incremento dei tassi di interesse”. Il margine di interesse “ha immediatamente recepito l’aumento dei tassi dopo che per le banche è stato molto complicato lavorare negli ultimi anni a tassi negativi”. Inoltre, sottolinea Scauri, nonostante le aspettative di recessione e di incremento del livello degli Npl e delle sofferenze, il costo del rischio è comunque “rimasto sotto controllo. E il fatto che non sia aumentato ha portato a un incremento del Cet1 e ha dato la possibilità a diverse banche, come Unicredit, di andare avanti con i piani di buyback, cosa apprezzata da azionisti e investitori”.
Nel primo semestre, e nel secondo trimestre in particolare, la performance del settore bancario italiano, concorda James Macdonald, senior corporate analyst di Bluebay Asset Management, “ha continuato a essere molto solida”. In linea con quelle europee, le banche italiane hanno iniziato l’anno “in una posizione di solidità patrimoniale”. Capitale forte e costo del rischio sotto controllo, con gli Npl che “hanno continuato a diminuire”. Anche l’esposizione verso la Russia dei due gruppi principali, Intesa Sanpaolo e Unicredit, non preoccupa gli investitori. I due istituti hanno svalutato le loro esposizioni, anche completamente, e ora il rischio Russia in questo momento riguarda principalmente l’energia e le materie prime.
In questo contesto, continua l’analista di Bluebay, “l’unica nube all’orizzonte è forse un rallentamento dei ricavi da commissioni a causa della volatilità del mercato”. Ma, nel corso del secondo semestre, i benefici del recente rialzo della Bce continueranno a manifestarsi e, se la volatilità dei mercati si normalizzerà, “i clienti si riattiveranno e si avrà un effetto positivo anche sulle commissioni”. Per Macdonald “è probabile che anche il costo del rischio rimanga basso per il resto dell’anno, viste le sovrapposizioni gestionali già adottate, e quindi ci aspettiamo che i risultati dell’anno siano estremamente solidi”.
Ma se il 2022 non preoccupa, il grande punto di domanda per gli investitori riguarda il 2023. Se alla metà del prossimo anno nell’area euro si sarà arrivati a una stabilizzazione dei tassi e se l’inflazione sarà arrivata al picco, la Bce potrebbe anche decidere di tagliare i tassi. “Il mercato ragiona con un anno di anticipo e questo è un elemento pro mercato, e meno pro banche, sicuramente da considerare”, spiega Scauri. La fiammata dell’inflazione in Europa è importata ed è il risultato dell’impennata del costo dell’energia e delle materie prime. “La Bce ha un po’ meno necessità di alzare i tassi rispetto ad altre banche centrali e sarà più prudente. Se si agisce sui tassi in maniera forte, si potrebbe avere un effetto contrario rispetto a quello ricercato, con il rischio di comprimere la crescita”.
In ogni caso al momento banche e grandi imprese non vedono ancora arrivare una recessione. E il rischio di una nuova esplosione degli Npl nei bilanci degli istituti di credito appare remoto. “In caso di recessione molto forte l’aumento degli Npl e delle sofferenze andrà considerato, ma al momento non ci sono evidenze che ci sarà un picco”, sottolinea il gestore di Lemanik. Un’altra criticità per le banche italiane è il fattore politico e le elezioni anticipate a settembre. Nonostante i trend molto positivi in atto, “è probabile che il voto e qualsiasi cambiamento di direzione politica da quella assunta dal governo Draghi, insieme alla crisi energetica in corso in Europa, continuino a gettare un’ombra sul settore bancario”, dice Macdonald. Tuttavia, conclude, “dato che i fondamentali bottom up rimangono solidi, qualsiasi risoluzione di questi incombenti fattori macro avrà probabilmente un effetto molto positivo sul sentiment degli investitori”.