«Non ho un catalogo di chi, nei partiti, potrebbe prendere il posto di Mario Draghi. Non credo, però, che sia l’unica persona in grado di guidare un governo». Luciano Canfora, filologo e storico dell’Università degli Studi Bari, osserva con attenzione a quanto sta accadendo a Roma.
Professore, per alcuni Draghi è il solo che può salvare l’Italia, per altri è il “liquidatore” del Paese. Qual è la sua idea?
«In questa fase nessun giudizio sommario è utile. È una persona molto competente ma pur non avendo davanti un elenco dei possibili sostituti, non penso che i partiti siano ridotti così ai minimi termini da non avere alternative. È esagerato sottolineare continuamente la sua unicità».
Si fa spesso riferimento al bisogno di finire quanto iniziato.
«Quando “si candidò” per la presidenza della Repubblica dichiarò che il suo lavoro alla guida del Consiglio dei Ministri era terminato. È quello che accade quando ci si lascia andare ad affermazioni troppo nette…».
Il centrodestra si è compattato nel chiedere il ricorso alle urne il prima possibile. La spaventa l’instabilità?
«Non va demonizzato l’elettorato ma bisogna avere fiducia. Solo la monarchia garantisce sempre stabilità. In democrazia, a un certo punto, bisogna ricorrere al voto. Non è utile continuare a dire che sarebbe un disastro. A volte, chi lo afferma, teme l’esito delle urne più che l’interruzione dell’attività di governo».
Ci sono ancora i margini per ricomporre una maggioranza in Parlamento?
«Metto in quarantena la mia diagnosi. Quello guidato da Draghi era un governo nato dalla paziente tessitura di Mattarella e dei partiti. I blocchi non sono così netti come potrebbe sembrare. Resta curioso, però, che il centrodestra si irrigidisca ora, affiancandosi al Movimento Cinque Stelle».
Dal mondo dell’impresa il coro è stato univoco a sostegno di Draghi. Come se lo spiega?
«Penso che da parte del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ci sia stata soddisfazione in questi mesi nel vedere il Presidente del Consiglio che non si confrontava con i sindacati. È accaduto una sola volta. Dopo poco, però, si fece sostituire dal ministro dell’Economia Daniele Franco. Poi la situazione è cambiata».
Perché?
«Per effetto dell’insistenza di Giuseppe Conte. In seguito alle sue pressioni, Draghi ha ricevuto Cgil, Cisl e Uil e non credo sia un caso che Maurizio Landini abbia parlato di atteggiamento costruttivo».
In questo panorama, c’è una sinistra in campo?
«L’unica è quella rappresentata dai sindacati. Non ne vedo altre».
Nel suo libro “La schiavitù del capitale”, sei anni fa, dedicò un capitolo alla Grecia, accusando l’Europa di applicare una “austerità autoritaria”. Chi premeva per la continuità del governo Draghi sosteneva anche che la sua autorevolezza e credibilità garantisca una forma di difesa da attacchi esterni. L’Italia è al sicuro?
«L’Inghilterra è andata via dall’Unione Europea. Oggi il progetto comunitario è fondato su Italia, Francia e Germania. Se ne togli uno crolla tutto. Non credo quindi che potrà essere riservato al nostro Paese un trattamento come quello subito dalla Grecia o che possa essere mandato un “castigatore”. Non dobbiamo difenderci da questa ipotesi, anche perché siamo una potenza economica di livello mondiale».