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Ucraina, psicologa militare: “Soldati in stress acuto, vedere corpi compagni bruciati choc indelebile”

(Adnkronos) - "La diagnosi per la maggior parte dei militari ucraini impegnati nella guerra in questo momento? Senz'altro quella di 'stress acuto'. I soldati che vedono come i loro compagni vengono bruciati o strappati via alla vita in un attimo da armi pesanti, o granate che carbonizzano i corpi, ricevono un'indelebile impulso sulla loro psiche".…

(Adnkronos) – “La diagnosi per la maggior parte dei militari ucraini impegnati nella guerra in questo momento? Senz’altro quella di ‘stress acuto’. I soldati che vedono come i loro compagni vengono bruciati o strappati via alla vita in un attimo da armi pesanti, o granate che carbonizzano i corpi, ricevono un’indelebile impulso sulla loro psiche”. Ad affermarlo, in un’intervista con l’Adnkronos, è la psicologa militare ucraina Olena Nahorna, che parla da un luogo segreto sulla linea del fronte (“non posso rivelare dove mi trovo ma si tratta di un obiettivo militare”, spiega). 

Olena, occhi cerulei e buoni, volto rassicurante, grande calma, racconta: “Quello che differenzia la loro patologia da altre situazioni di stress, paura o ansia, è l’alta intensità della situazione che si trovano a vivere. Qui i soldati si trovano quotidianamente a contatto con esplosioni da armi pesanti, granate, ordigni che bruciano tutto intorno”. Dal punto di vista professionale, “non si tratta ancora di sindrome post traumatica, che si può diagnosticare solo dopo sei mesi, mentre la guerra su vasta scala dura da meno tempo -osserva- Anche se tra gli psicologi c’è una discussione aperta sul tempo e stiamo elaborando dei nuovi protocolli. Data l’intensità delle azioni belliche e dei continui attacchi missilistici, e l’atrocità di vedere con i propri occhi tutto quel male non mi meraviglierei se venissero cambiati i protocolli e venisse ridotto il tempo di diagnosi da sei a tre mesi”. 

La psicologa, che ribadisce che “la guerra qui è iniziata otto anni fa”, snocciola alcuni dati: “Secondo le nostre ricerche, prima del 24 febbraio soffrivano di sindrome da stress post traumatico dal 15 al 18% dei soldati, ma non c’erano così tante vittime e scene così violente causate da armi pesanti. Adesso purtroppo non abbiamo statistiche, dati i tempi ristretti, ma sicuramente il numero si è di molto innalzato”. La giornata vola via intensa: “Non ho orari -dice quasi sorridendo la militare- La mattina riceviamo gli ordini, e io mi occupo di miglioramento della resistenza allo stress e di dare supporto ai soldati durante l’esecuzione delle direttive”.  

Molti i temi dei colloqui con i soldati, ma il problema morale di uccidere non c’è. “La paura di dover uccidere, il rapporto con le armi, non è un problema per i nostri soldati -chiarisce l’esperta- Perché la nostra non è una risposta aggressiva, noi lo facciamo per difesa, di conseguenza non c’è il problema morale di dover uccidere, perché nessuno lo fa per aggredire, si tratta della difesa della propria famiglia e del proprio Paese”. Piuttosto, quelle che attanagliano i soldati sono “questioni esistenziali, domande che nascono proprio dalla guerra. Si chiedono il perché, che senso abbia, che senso abbia morire così. La mancanza di risposte sui perché può peggiorare la sindrome post traumatica”. 

Uno dei problemi maggiori dello stress post traumatico è “l’incapacità di accettare il se stesso nuovo -è l’analisi di Nahorna- La guerra cambia le persone. E qui, io lavoro sul fatto che nostre potremmo scoprire il nostro potenziale e le capacità di sopravvivenza. Noi in questo momento parliamo non solo di dover affrontare le conseguenze della guerra sui militari e sui familiari, ma anche delle prospettive di una crescita personale”. Oltre ai militari, ad avere bisogno di supporto sono tante altre categorie. “Quelle dei volontari civili, quelle dei cittadini comuni, e quelle dei familiari dei militari”, dice Olena. Che spiega: “In generale la situazione è seria e complicata, perché possiamo dire che tutta la popolazione dell’Ucraina può identificarsi in una delle categorie e quindi tutto il Paese ha bisogno di supporto psicologico”. 

Il gruppo più difficile “è quello dei familiari delle persone disperse -dice la psicologa- Di recente, è stato diffuso il dato da parte del commissario per le persone scomparse secondo cui risultano dispersi 7200 militari, di cui una parte sarebbe detenuta in Russia. La psicologia europea occidentale non si è mai dovuta rapportare con un così alto di dispersi, ed è molto difficile lavorare con queste famiglie. Noi adoperiamo protocolli europei, ma funzionano solo in parte. Possiamo dire una cosa: gli psicologi ucraini sono al fronte anche dal punto di vista delle nuove frontiere psicologiche, dovendo interfacciarsi con situazioni mai vissute”. 

(di Ilaria Floris) 

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