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Tra le grandi città andate al voto tempi pagamento più brevi a Verona, più lunghi a Palermo

(Adnkronos) - Quanto tempo impiegano mediamente le grandi città italiane, coinvolte nella tornata elettorale 2022, a pagare i propri debiti commerciali? A fare il punto è Centro Studi Enti Locali (Csel), in un dossier per Adnkronos, ricordando che il massimo consentito dal dlgs. n. 231/2002 (di derivazione comunitaria) è ordinariamente di 30 giorni e che…

(Adnkronos) – Quanto tempo impiegano mediamente le grandi città italiane, coinvolte nella tornata elettorale 2022, a pagare i propri debiti commerciali? A fare il punto è Centro Studi Enti Locali (Csel), in un dossier per Adnkronos, ricordando che il massimo consentito dal dlgs. n. 231/2002 (di derivazione comunitaria) è ordinariamente di 30 giorni e che possono essere pattuiti tempi più lunghi con il creditore, fino a un massimo di 60. “La città più virtuosa, anche da questo punto di vista, è Verona – sostiene Csel – che ha un indice di tempestività dei pagamenti pari a meno 22 giorni. Mediamente, quindi, nella città guidata dal neo-sindaco Damiano Tommasi, nel 2021 le fatture sono state pagate a distanza di 8 giorni dalla ricezione. Seguono Genova, con meno 14 (quindi con una media di 16 giorni di distanza dalla ricezione della fattura), Piacenza con -9,90, Parma con -9,35 e Modena con -2,17”. 

“Più lunghi i tempi di pagamento – dice Csel – nelle città meridionali esaminate. Taranto ha mediamente sforato di 4 giorni il tempo massimo consentito. Palermo è l’unico Comune il cui indicatore relativo al 2021 non è stato reso disponibile sul sito istituzionale. L’ultimo dato pubblicato nella sezione amministrazione trasparente è riferito al 2020 ed è pari a +31,77 giorni rispetto al limite massimo. Questo ne fa di gran lunga l’ente con i tempi medi di pagamento più lunghi tra quelli oggetto di questa ricerca”.  

“In mezzo, Messina e Padova che hanno un indicatore medio dei pagamenti vicino a zero giorni, quindi sono sostanzialmente in linea con le disposizioni legislative di settore e lo scorso anno hanno saldato i propri debiti in media a distanza di 30 giorni dalla ricezione”, aggiunge Csel.  

Uno degli indicatori utili per valutare la salubrità finanziaria dei Comuni è l’indice di rigidità strutturale, che misura la percentuale delle entrate correnti che servono a coprire gli stipendi dei dipendenti comunali e le rate di prestiti e mutui contratti dall’ente. “Grandi le differenze che si registrano – sottolinea – tra i Comuni sopra i 100mila abitanti che sono andati alle urne nel 2022: si passa dal 16% di Taranto fino al 35% del Comune di Genova. In mezzo, Piacenza con il 21%, Parma con il 22%, Padova (26%), Verona (27%), Monza (32%). Per i Comuni di Palermo e Messina questo dato, riferito al 2021, non risulta ancora reperibile ma l’ultimo disponibile, quello del 2020, ci dice che nel capoluogo di regione siciliano mutui e personale assorbono il 28% delle spese correnti mentre nella città dello Stretto, si fermano a quota 23%”.  

“Sebbene sia tendenzialmente auspicabile avere un indice di rigidità strutturale il più basso possibile, va detto che di per sé questo indicatore – precisa Csel – non dà un quadro esaustivo della reale situazione finanziaria complessiva di un ente. Sul dato influiscono, infatti, molto le politiche in materia di organismi partecipati e l’utilizzo più o meno marcato di veicoli esterni al Comune per fornire servizi strumentali al territorio con spesa di personale correlativamente differenziata. Un Comune che ha esternalizzato a una società partecipata servizi come mensa o trasporto scolastico, ad esempio, avrà spese di personale inferiori (e quindi un indice di rigidità strutturale migliore), in quanto una quota significativa di questi costi sarà sostenuta dalla società partecipata in questione”.  

“Se si guarda alla sola incidenza della spesa di personale (voce principale del citato indice di rigidità strutturale), troviamo ai due estremi – spiega Csel – il Comune di Taranto, dove il costo del personale è pari al 21% del totale della spesa corrente, e Monza con il 31%. Non lontani Padova e Genova con il 30%, Verona con il 27%, Piacenza con il 23% e Parma con il 22%. Anche in questo caso, per parlare di Messina e Palermo occorre fare riferimento al 2020, ultimo anno per il quale è stato possibile reperire i dati. Ne è emersa, a Messina un’incidenza della spesa di personale sul totale degli impegni correnti pari al 21% contro il 32% di Palermo”. 

“Tutti i parametri di deficitarietà 2021 dei Comuni sopra ai 100mila abitanti coinvolti dalle amministrative 2022 (eccezion fatta per Palermo e Messina che non hanno pubblicato la Tabella dei parametri obiettivo) risultano rispettati”.  

“Fuori dal coro soltanto il Comune di Taranto – avverte – che presenta valori oltre soglia per i parametri P6 e P8, relativi rispettivamente al riconoscimento di debiti fuori bilancio, riconosciuti e finanziati, per oltre l’1% degli impegni relativi alle spese correnti e alle spese in conto capitale, e alla capacità di riscossione, sulla competenza e sui residui, inferiore al 47% del totale degli accertamenti di competenza sommati al totale dei residui attivi ad inizio 2021”. 

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