«Quando dissi a mia madre di voler andare a Roma per fare l’attore ma di temere di non farcela lei mi rispose: figlio mio, cosa vuoi che accada, prova, insisti, male che vada mica ti danno mazzate». Il barese Dino Abbrescia, classe ‘66, è decisamente simpatico anche fuori dal set e sorride mentre ricorda le parole pragmatiche e a volte bonariamente ciniche di sua madre, nei tempi in cui lo invogliava a intraprendere questa carriera, a farsi strada in una realtà lavorativa affascinante ma incerta. È a lei che deve un grazie, per il sostegno e la fiducia e quell’impresa che all’epoca sembrava titanica è andata a buon fine.
Oggi infatti quel ragazzo con un padre poliziotto e una madre casalinga è diventato un artista a tutto a tondo, uno tra i più noti del panorama nazionale e in questi giorni lo si vede recitare sul grande schermo in “Dieci giorni con i suoi”, una commedia girata in Puglia, scritta e diretta da Alessandro Genovesi e con un cast d’eccezione, da Fabio De Luigi a Giulia Bevilacqua, per citarne alcuni.
Una domanda a brucia pelo: ci dice un aneddoto simpatico accaduto durante le riprese di questo film girato nella meraviglia del Salento, una storia (terzo capitolo di una saga) in cui si parla della famiglia Rovelli?
«Ci siamo divertiti molto, considerando anche le origini pugliesi del regista e di conseguenza l’empatia che si è creata nel gruppo. Con Alessandro ho già lavorato per altri due film, c’è grande affiatamento e direi che questo è stato un film nel film, tra cene in ristoranti tipici, con tutto il gruppo, ore trascorse sulla spiaggia, grazie alle splendide giornate di sole di ottobre e novembre scorsi e le “battute alla barese” improvvisate e d’effetto. Mi son sentito più libero anche nella recitazione».
A proposito di cene nel cuore del Sud, nel film, insieme ai luoghi magici di Gallipoli con masserie e mare azzurro, spicca una cucina con piatti “famosi” della nostra terra, come la focaccia e la mozzarella. La pugliesità, in tutte le sue forme, ha raggiunto il suo apice?
«Prima o poi sarebbe dovuta esplodere. La Puglia è una terra geograficamente lunga e ha tanto da raccontare, a partire dalla grande tradizione musicale di appartenenza, la Pizzica, in Salento. Noi, con “La Capa gira” di Alessandro Piva, nel 1999, siamo stati i precursori, abbiamo evidenziato lo spaccato della realtà delinquenziale di Bari vecchia. Oggi per quel che riguarda il capoluogo è tutto più patinato, pensiamo alla serie televisiva di Lolita Lobosco. Forse, dai primi anni 2000, mi sarei aspettato anche un proseguo sui temi della “società ai margini” ma in fin dei conti gli stereotipi come cibo e mare ben vengano, sempre. Il sapore della Puglia nasce da quei profumi che entrano nell’animo e non vanno più via e per me tornare a lavorare qui è una gioia, rivedo anche gli amici».
Lei in questo periodo è a Livorno impegnato a teatro con lo spettacolo “Perfetti sconosciuti” tratto dal film di Paolo Genovese e la tuornée durerà fino ad aprile, con tappe in Calabria, Sicilia e Sardegna. Quale il prossimo impegno?
«Negli anni scorsi, nel mondo della recitazione, quando c’era una nuova idea la si veniva a sapere di solito un anno prima e la si programmava nel dettaglio. Ora non è così e gli attori vengono chiamati anche nel giro di un mese, poco prima dell’inizio delle riprese; tutto scorre velocissimo. Ci sono due o tre cose in cantiere ma aspetto il via».
E il suo sogno nel cassetto?
«Lavorare con bravi registi? A pensarci bene ho un altro sogno più profondo: uscire da questo clima di terrore psicologico dovuto alle guerre che ci circondano e alle varie devastazioni. Il mio più grande desiderio è che si torni finalmente a sognare e penso in primis alle nuove generazioni. Ho un figlio di 16 anni e lo vorrei vedere sempre entusiasta della vita e con delle ambizioni. Ecco, sogno che si possa riprendere a sognare».