ln occasione della ventesima edizione dei Giochi del Mediterraneo, che si disputeranno in Italia, a Taranto, dal 21 agosto al 3 settembre 2026, offre lo spunto per una riflessione sul futuro delle relazioni tra i popoli del Mediterraneo. Il Mediterraneo, fin dall’antichità, è stato luogo di incontro e scontro, un crocevia di civiltà che ha visto convivere, con alterne vicende, commercio e guerra, scambi culturali e divisioni ideologiche. Oggi, nel contesto di un’Europa che appare sempre più disorientata da nuove, sfrenate spinte economiche e diplomatico-militari, il Mediterraneo rischia di diventare una periferia geopolitica. Tuttavia, la sua centralità storica e strategica non può essere ignorata: esso continua a essere uno spazio di connessione tra Europa, Africa e Medio Oriente, nonché un punto chiave per le rotte economiche ed energetiche globali.
A Taranto saranno presenti i 26 Paesi membri del Comitato Internazionale dei Giochi del Mediterraneo (Icmg): Albania, Algeria, Andorra, Bosnia Erzegovina, Cipro, Croazia, Egitto, Francia, Grecia, Italia, Kosovo, Libano, Libia, Macedonia del Nord, Malta, Marocco, Monaco, Montenegro, Portogallo, Repubblica di San Marino, Serbia, Siria, Slovenia, Spagna, Tunisia e Turchia. I Giochi del Mediterraneo possono assumere un valore che va oltre la competizione sportiva, diventando una piattaforma per il dialogo tra popoli e governi. Lo sport ha spesso dimostrato di poter abbattere barriere e creare spazi di cooperazione laddove la politica fallisce. La partecipazione di tutti i paesi membri dell’Icmg offre la possibilità di riunire culture diverse in un contesto pacifico, dove il rispetto delle regole e il fair play diventano principi comuni.
Il baricentro della politica europea si sta spostando sempre più (quando va bene) verso i territori dell’Europa centro-settentrionale, segnando in maniera rilevante l’assetto degli equilibri politici faticosamente raggiunti nelle zone mediterranee.
L’Europa centro-settentrionale è passata dalle forme della tutela coloniale alla giustificazione della gestione monopolistica delle risorse e dei centri di potere di queste aree, quale panacea per contenere futuri conflitti. Il contenimento dei conflitti è stato possibile attraverso una politica di penetrazione economica organizzata intorno all’esportazione di capitale, con relativo indebitamento e, quindi, alla subordinazione politico-sociale delle aree interessate e all’utilizzo di forza lavoro a basso costo.
La strategia adottata dall’Occidente ha prodotto, come effetto perverso, la diversificazione delle aree settentrionale e meridionale europea, ponendole, di fatto, in una situazione di conflittualità, spesso usata come terreno di scontro alternativo a quello della lotta di classe. L’Europa meridionale, nel contesto di una politica che vede nell’Europa centro-settentrionale l’unico baricentro possibile, viene ad assumere il ruolo che nel passato era rivestito dalle potenze del Patto di Varsavia.
Nel 1995 s’incontrano a Barcellona i quindici Paesi dell’Ue e dodici Paesi dell’area mediterranea (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele, Giordania, Siria, Libano, Turchia, Malta, Cipro, Palestina). L’Europa capisce che non può più rivolgere gli occhi da una parte sola e soffrire di strabismo politico, ma deve avere una strategia più ampia, che sa anche ritornare alle sue stesse radici. Dopo la fine delle ideologie globali l’Europa guarda al Mediterraneo. È una svolta che impone di ripercorrere tutta la nostra storia, di divenire consapevoli di tutta la nostra ricchezza culturale, per scoprire un nuovo modo di vivere l’impegno individuale e l’impegno sociale.
L’Europa è tuttora interessata da profonde trasformazioni, e il continuo rimescolamento di culture, etnie e religioni impone una riflessione seria sia sulle sue potenzialità sia sul contributo straordinario che il Mediterraneo ha dato per la costruzione della stessa identità culturale dell’Europa. Basti pensare, a tale proposito, alle tre grandi religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo, islam), alla filosofia e all’arte del mondo greco, alla grande tradizione del diritto romano. Il pensiero attuale si nutre tuttora della civiltà mediterranea. L’Europa è cresciuta in modo dinamico, coniugando sempre i due poli: unità e diversità. Il Mediterraneo da sempre è luogo di scontri e d’incontri, un luogo dove è naturale accettare la dialettica tra rapporto e conflitto; una composizione – scomposizione dove la “diversità” diventa un valore da proteggere e salvaguardare.
La dialettica tra Nord e Sud del mondo appare come un punto strategico d’intervento da cui non è possibile prescindere. Nord e Sud del mondo debbono imparare a dialogare e a coniugare il loro patrimonio di pensiero. In questa prospettiva il Mediterraneo ci trascina fino alle radici della vita, ci propone i grandi temi dell’esistenza. Il pensiero arrogante attuale, basato sulla competizione sfrenata, mostra tutti i suoi limiti.
I popoli del Mediterraneo devono ritrovare il concetto profondo di bellezza, di misura, di equilibrio. Bisogna trovare il coraggio di dare un nuovo corso alla storia, divenendo capaci di decifrare tutti gli imbrogli della società capitalistica, gli infiniti meccanismi di dipendenza che creano una spirale infinita di schiavitù. Oggi più che mai, quest’arcipelago di civiltà rischia di perdere pezzi, rischia di rompersi, anche all’interno dei ristretti confini nazionali, perché una parte di esso tende a chiudersi nel proprio particolare interesse, mentre sullo sfondo giganteggia l’immagine angosciosa e informe del nuovo tiranno della “civiltà tecnologica avanzata”.
L’evento sportivo dei Giochi del Mediterraneo, che si disputeranno a Taranto il prossimo anno, potrebbe essere il punto di partenza per una riflessione più ampia su nuove strategie di collaborazione tra le nazioni mediterranee: strategie volte a favorire il dialogo su politiche di sviluppo sostenibile, investimenti comuni e programmi di scambio tra imprese per ridurre le disuguaglianze economiche. Il Mediterraneo è un’area ricca di risorse naturali, ma la loro gestione è spesso motivo di tensioni. Un approccio cooperativo potrebbe favorire l’uso equo e sostenibile di queste risorse. Si comprende, in definitiva, quanto sia importante promuovere progetti di scambio culturale tra i paesi del Mediterraneo, per rafforzare il senso di appartenenza comune e combattere la diffusione di pregiudizi e nazionalismi estremi, come pure quanto sia necessario creare politiche condivise che affrontino il fenomeno migratorio non solo come un problema di sicurezza, ma come una questione di sviluppo umano e integrazione.
La sfida per il Mediterraneo, in conclusione, non consiste solo nel superare le divisioni, ma di trasformarle in una ricchezza. I Giochi del Mediterraneo 2026, proprio per la loro natura inclusiva e simbolica, possono rappresentare un momento chiave per rilanciare il ruolo del Mediterraneo come spazio di cooperazione e crescita condivisa, in cui la diversità non sia più un elemento di conflitto, ma un valore da proteggere e promuovere.
Bentornato,
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