Il recente intervento di Mario Draghi al Parlamento europeo non è stato solo un’analisi delle sfide del nostro tempo, ma un appello all’azione. Con Donald Trump nuovamente alla Casa Bianca, il mondo si trova in una fase geopolitica instabile e l’Europa deve decidere se rimanere una potenza economica o diventare un semplice spettatore degli eventi.
Serve una strategia chiara, strumenti concreti e soprattutto la volontà politica di agire con rapidità e determinazione. Nonostante il mercato unico conti 470 milioni di persone e sia tra i più ricchi al mondo, l’Europa continua a mostrare fragilità. La protezione del mercato interno non è sufficiente se non accompagnata da misure strutturali che rafforzino industria, settore manifatturiero e competitività globale dell’Europa.
Draghi lo ha detto senza mezzi termini: senza una risposta adeguata, rischiamo di diventare irrilevanti. Uno dei punti cruciali toccati da Draghi riguarda la necessità di ridurre la frammentazione normativa e di abbattere le barriere interne. Il problema dell’Europa non è la mancanza di risorse, ma la difficoltà nel metterle a frutto a causa di regolamenti complessi, iter burocratici lenti e una mancata armonizzazione tra i Paesi membri. In un’epoca di competizione serrata, la lentezza non è più un’opzione. Mentre Stati Uniti e Cina procedono con decisioni rapide e interventi massicci, l’Europa si muove ancora con il freno a mano tirato. Con Trump alla Casa Bianca, l’Europa si trova nuovamente di fronte alla possibilità di dazi punitivi e misure protezionistiche aggressive contro le imprese europee.
Draghi ha sottolineato l’urgenza di dotarsi di strumenti di difesa adeguati. Se Washington decide di alzare barriere commerciali o di colpire le imprese europee con nuove restrizioni, l’Unione deve essere pronta a rispondere con misure altrettanto incisive.
Non possiamo permetterci di essere l’unico blocco economico che gioca secondo le regole mentre gli altri le riscrivono a proprio vantaggio. In questo scenario di ridefinizione delle strategie economiche europee, il Mezzogiorno italiano può e deve diventare leva di crescita per l’intero continente. La sua posizione geografica, al centro del Mediterraneo, lo rende un punto di snodo per i traffici commerciali tra Europa, Africa e Medio Oriente. Eppure, l’Europa continua a ignorarne il potenziale, trattandolo come un’area marginale anziché come un asset strategico.
La transizione energetica, le nuove catene del valore industriale e la necessità di ridurre la dipendenza da fornitori extraeuropei offrono al Sud Italia un’occasione irripetibile. Investire in infrastrutture moderne, porti, logistica avanzata e innovazione nel Mezzogiorno non è solo una questione di sviluppo interno per l’Italia, ma una scelta strategica per l’intero sistema europeo. Mentre l’Europa discute su come rispondere agli shock geopolitici, la risposta potrebbe essere già davanti ai nostri occhi: trasformare il Sud in un hub produttivo e logistico capace di attrarre investimenti e ridurre la vulnerabilità economica dell’Unione. La Zes unica è un primo passo, ma servono misure più coraggiose: incentivi fiscali, politiche industriali mirate e soprattutto un cambio di paradigma che veda il Mezzogiorno non più come un problema da risolvere, ma come una risorsa da valorizzare. La domanda che resta aperta è se l’Europa sarà in grado di attuare queste riforme senza una leadership forte. Draghi ha indicato la strada, ma chi sarà a portarla avanti?
La sfida è aperta. Se l’Unione non agirà con determinazione, rischia di ritrovarsi schiacciata tra le superpotenze e di perdere definitivamente il ruolo di attore globale. I prossimi mesi saranno decisivi: Bruxelles deve dimostrare di essere all’altezza della situazione. E forse, per farlo, dovrà finalmente guardare al Mezzogiorno con occhi diversi.
Bentornato,
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