Un terzo degli under 34 che ha un lavoro vorrebbe cambiarlo. Il dato emerge dalla ricerca effettuata da Noto per il Sole 24 Ore su un campione significativo di giovani. Lo stipendio resta tra i motivi di fondo di una scelta difficile come il cambio di mansione; un problema per metà degli intervistati. Il 71% di questi guadagna fino a 1.500 euro netti al mese, i restanti fino a 1.000.
Tra i motivi lo stipendio
I dati trovano conferma nello studio «Total remuneration survey 2024» di Mercer. Secondo la ricerca la retribuzione d’ingresso dei giovani al loro primo impiego in Italia è di circa 30.500, con un aumento del 5,4% rispetto al 2021. Tra i settori più remunerativi al primo impiego ci sono l’ambito scientifico e quello dell’energia. A questi numeri non si può che aggiungere la mancata dinamicità del mercato del lavoro in Italia, con un turnover tra over 50 e under 34 pressoché mai avvenuto. Stando agli ultimi dati Istat, infatti, la categoria dei giovani occupati è passata in venti anni da 7,6 milioni a 5,4. Un problema imputabile alla tendenza demografica della denatalità che attanaglia il Vecchio Continente, ma anche a condizioni lavorative considerate sfavorevoli nel nostro Paese. Non è un caso che, dal 2011 al 2023, stando ai dati fotografati da Fondazione Nord Est, sono emigrati all’estero poco più di mezzo milione di ragazzi under 34, la gran parte laureati.
La tendenza della Gen Z
Un’altra ricerca dal titolo «Z Revolution, la generazione che sta cambiando aziende e lavoro», questa volta condotta dalla Fondazione Ipe Business School, su un campione di diecimila studenti ha registrato una tendenza diversa. Si sofferma principalmente sui nati tra il 1997 e il 2012, figli di varie crisi economiche, pandemie e cambiamenti digitali repentini. Lo studio mette in evidenza il fenomeno della «Great resignation» o «Big Quit», ovvero la volontà di lasciare il proprio lavoro per non aver trovato un’esperienza in linea con le proprie aspettative di partenza. Una tendenza nata negli Stati Uniti dopo la pandemia da Covid-19, ma che in Italia, complice una condizione lavorativa totalmente diversa, non ha mai attecchito più di tanto. A guidare la nuova generazione è anche il «purpose driven», la spinta motivazionale alla base dell’esperienza professionale. Non si tratta più quindi di un mero bilanciamento tra stipendio e benefit, ma di una corrispondenza a un profilo reputazionale definito, in cui vengano rispettati i bisogni di identità e appartenenza.
Perché cambiare lavoro?
Per la Gen Z, in particolare, i motivi alla base del mutamento lavorativo, stando sempre allo studio di IPE Business School, risiederebbero nel «quiete quitting» e nel «burnout». Due fenomeni in crescita nell’ultimo periodo. Non è così raro, infatti, trovare ragazzi sotto stress di lavoro, una condizione psico-fisica che insorge quando il lavoratore percepisce come eccessive le richieste dell’azienda rispetto a quelle di cui dispone. Dall’altro lato, c’è quella condizione legata alla riduzione autonoma degli impegni lavorativi pur nel rispetto della mansioni assegnate. Un «abbandono silenzioso» che, a lungo andare, potrebbe portare alla scelta drastica del cambio di lavoro.