Sono partite da un incendio di auto a Turi le indagini che hanno portato all’esecuzione di 37 misure cautelari emesse dal gip del tribunale di Bari su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia (Dda) nei confronti di altrettanti indagati, 15 dei quali sono finiti in carcere, altri 16 agli arresti domiciliari mentre per altri sei è scattato l’obbligo di dimora nel comune di residenza con la prescrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione dalle 22 alle 7 del giorno successivo.
Tra gli indagati ci sono anche persone vicine ai clan baresi Parisi e Strisciuglio. Le accuse a loro carico sono, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti anche con l’aggravante della cessione a minorenni, ricettazione e detenzione illegale di armi clandestine, violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, estorsione aggravata, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, favoreggiamento personale, ricettazione, fraudolento danneggiamento dei beni assicurati, falsità ideologica, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, estorsione aggravata dal metodo mafioso, incendio aggravato dal metodo mafioso.
I provvedimenti arrivano nell’ambito dell’indagine “Messa a Fuoco“, condotta dall’ottobre 2021 al maggio 2023 che, attraverso intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali (eseguite anche nella sala colloqui del carcere di Bari), installazione di sistemi di videosorveglianza e di monitoraggio della posizione con gps, perquisizioni e sequestri.
L’incendio a Turi
Le indagini hanno permesso di accertare la natura dolosa dell’incendio divampato a Turi, scoprendo che si trattava di una ritorsione contro un gruppo criminale per aver violato il “divieto” di spacciare droga nel comune in provincia di Bari.
Sono state così identificate due associazioni armate rivali, dedite al traffico di cocaina, facenti capo ai clan baresi Parisi e Strisciuglio. Questi gruppi, strutturati in modo piramidale, erano in lotta per il controllo della piazza di spaccio turese.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno rivelato la precisa ripartizione dei ruoli all’interno delle associazioni: promotori, dirigenti, contabili, organizzatori e venditori al dettaglio di cocaina.
I nascondigli della droga e gli ordini impartiti dal carcere
Gli indagati, secondo l’accusa, utilizzavano nascondigli ingegnosi per occultare la droga, come le intercapedini dei box seminterrati e i muretti a secco, per ridurre il rischio di perquisizioni da parte delle forze dell’ordine e un linguaggio convenzionale per scongiurare il pericolo di intercettazioni.
Dopo l’arresto di alcuni promotori di una delle due associazioni, altri membri, tra cui una donna, hanno assunto il controllo delle operazioni, continuando a recuperare i proventi dello spaccio e garantendo la continuità dell’attività criminale.
Gli investigatori hanno scoperto che un gruppo era sotto la direzione di un detenuto che dal carcere dava ordini per gestire il traffico di droga.
Gli spacciatori seguivano turni, anche durante le festività, e usavano schede telefoniche intestate a prestanome, social network e applicazioni di messaggistica per evitare le intercettazioni. Documentate videochiamate tra i membri delle associazioni, inclusi i capi detenuti.
Durante le indagini sono state arrestate 11 persone in flagranza di reato, altre 13 sono state denunciate a piede libero e sono stati sequestrati un chilo di droga, una pistola e denaro contante.