L’affiliazione “con Medaglione”, uno dei più alti gradi della gerarchia mafiosa, per Savino Parisi è storia vecchia. Il boss del quartiere Japigia, che venerdì scorso è stato sentito dal gup Giuseppe De Salvatore nell’ambito del processo “Codice Interno” con il rito abbreviato, il ritratto che di lui hanno fatto i pentiti è ormai una versione datata. Ma nel 2021, il collaboratore Andrea Romano ha fornito al pm antimafia Fabio Buquicchio una ricostruzione di ruoli e gradi mafiosi molto accurata.
Le accuse
A Parisi è contestato il ruolo di capo indiscusso del clan omonimo che nel 2019, assieme ai Palermiti, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Bari, avrebbe contribuito al presunto scambio con protagonista assoluto l’ex consigliere regionale pugliese Giacomo Olivieri, in carcere dal 26 febbraio 2024 per voto di scambio politico-mafioso. Secondo gli inquirenti, nonostante fosse da tempo detenuto, Savinuccio avrebbe mantenuto lo status di capoclan e che avrebbe veicolato ordini, indicazioni e giudizi tramite i suoi familiari durante le videochiamate dal carcere.
I pentiti
Nell’udienza di venerdì, in videocollegamento dal carcere di Terni dove è detenuto, Savino Parisi, assistito dall’avvocato Rubio Di Ronzo, ha contestato anche l’utilizzo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, spiegando che risalgono a ben dieci anni fa. Utilizzate nel processo seguito all’operazione “Domino”, in cui era accusato assieme ad altre 46 persone, di associazione mafiosa, traffico internazionale di droga, riciclaggio, ne descrivevano il grado mafioso.
Il Mammasantissima
Savinuccio Parisi, secondo quanto spiegò Vito Tritta, è più che un “Mammasantissima”, perché ha ricevuto il massimo grado di Camorra, l’onorificenza “Regina Elisabetta”. E, più precisamente, nel 2006 «aveva ricevuto il medaglione e poi la Regina Elisabetta, il decimo livello, il più alto di affiliazione mafiosa, successivo al Mammasantissima».
Nel 2021, però, il racconto di Tritta e il legame di Savino Parisi con i Bellocco di Rosarno sarebbe stato confermato da un altro collaboratore, Andrea Romano, che durante la detenzione nel carcere di Bologna, aveva avuto rapporti con due dei calabresi ai vertici dell’organizzazione criminale locale, Umberto Olivieri e Antonio Pellè: «Mi dicevano: “Da noi riconosciuto, in particolare da tutti i calabresi che ti mandano la novità, è Savino Parisi su Bari, su Japigia” – spiega al pm Fabio Buquicchio – È Mammasantissima, sarebbe praticamente “crociata”, “mammasantissima”… crociata, stella e mammasantissima, sono sullo stesso livello, tutti e tre riconosciuti dai calabresi. Sono i tre passi unici, “mammasantissima” la tiene il reggente del clan, diciamo la cupola, dove si forma il locale».
Il Medaglione per i traffici
La spiegazione di Romano prosegue: «Fino al padrino tu dipendi sempre dalla Puglia, diciamo dal clan della Puglia; dopo il padrino vieni riconosciuto dai calabresi. Il padrino sarebbe l’ottava, il vecchio “Medaglione con catena” che davano, che sarebbe già un boss. Dopo il Medaglione con catena dovevi essere per forza riconosciuto dai calabresi. Perché – chiarisce Romano – fino a quando tu c’hai il padrino, tu comunque sia sei riconosciuto solo nella Puglia; dopo il padrino viene riconosciuto dai calabresi proprio per mantenere i contatti legati ai traffici, alle attività, cioè al business che si forma nella malavita ed avere, comunque sia, diciamo, una base anche in Calabria».
Il processo
Nella prossima udienza del processo con il rito abbreviato a 109 persone, incluso Giacomo Olivieri, il 26 febbraio la parola passerà agli avvocati delle parti civili che si sono costituite.