Eccoci qui, ancora una volta a parlare di costume e di Sanremo. Ma siamo sicuri che sia davvero di musica che stiamo discutendo? Guardiamoci intorno, questo Festival è diventato il perfetto specchio della nostra società frenetica, con tutte le sue contraddizioni e le sue corse a perdifiato.
Carlo Conti, il “Signore dei tinelli” come lo ha definito Aldo Grasso, ha trasformato Sanremo in una maratona musicale monotona e prevedibile. La sua conduzione, rigida e frettolosa, sembrava voler chiudere il Festival prima ancora di averlo iniziato. Ma forse, in fondo, è proprio questo che vogliamo: un Sanremo “normale”, senza colpi di scena, che ci faccia sentire al sicuro in un mondo sempre più caotico (a me è piaciuto).
Olly, il giovane talento genovese, ha conquistato il gradino più alto del podio con “Balorda nostalgia”: un trionfo che unisce indiscutibile talento musicale e abilità nel navigare il mondo digitale. Con oltre mezzo miliardo di interazioni sui social, Sanremo 2025 ha dimostrato che il vero palcoscenico oggi è un ibrido tra l’Ariston e TikTok. La sua vittoria solleva una domanda interessante: quanto pesa oggi la capacità di creare engagement sui social nella valutazione del talento artistico? Non sto sminuendo le capacità musicali di Olly, ma è innegabile che la sua abilità nel coinvolgere il pubblico online abbia giocato un ruolo cruciale nel suo successo. Parliamoci chiaro: i social dettano legge ormai.
Mentre corriamo da un’app all’altra, commentando performance e outfit, c’è chi costruisce imperi digitali con video che molti di noi considererebbero “inutili”. E allora mi chiedo: ma che abbiamo studiato a fare, se sembra che basti un TikTok virale per raggiungere la fama?
Pensiamo a Giorgia, la favoritissima, che si ritrova fuori dal podio ma acclamata dalla platea. La sua “La cura per me” ha incantato pubblico e critica, ricordandoci che il vero talento non si misura in like ma non basta per vincere. Un paradosso che ci fa riflettere: quanto contano davvero i social nel determinare il successo di un artista?
Corriamo, corriamo, corriamo. Ma verso cosa? Verso chi? Fedez, con il suo “Battito”, ci ricorda che dietro i sorrisi forzati e i filtri perfetti si nascondono spesso anime in tumulto. La sua canzone sulla depressione è un grido d’allarme in un mare di banalità sanremesi. Forse dovremmo fermarci un attimo e chiederci: stiamo davvero bene? (È tornato alle origini, fare il rapper e lo ha dimostrato anche nella cover con Masini. Bravo)
Lucio Corsi, che ha cantato la normalità. “Volevo essere un duro”, intona con leggiadra ironia, smontando pezzo per pezzo il mito della perfezione a tutti i costi. In un mondo di eccessi, essere normali è diventato rivoluzionario. Chi l’avrebbe mai detto che desiderare una vita semplice sarebbe diventato un atto di ribellione? (Ora usciranno tutti i fantaguro da strapazzo a darci formule risolutive).
E quindi cosa ne facciamo di tutto questo? Continuiamo a correre dietro ai follower o ci fermiamo un attimo a respirare, senza farne necessariamente un video da pubblicare?
Nell’epoca in cui una tiktoker può guadagnare migliaia di euro per una comunione e un video può paralizzare una località turistica, non dovremmo forse ripensare le nostre priorità? (Certo un pò di rabbia mi viene ripensando ai miei sacrifici)
Sicuramente le aspettative sociali hanno un grande peso ma vi dò un consiglio la prossima volta che vi sentite inadeguati, mettete su “Cuoricini” dei Coma Cose e ballate come se nessuno vi stesse guardando. Perché, in fondo, nessuno vi sta davvero guardando: sono tutti troppo occupati a guardare se stessi.
Bentornato,
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