La Comunità Educante assurge, anche, un ruolo fondamentale in luoghi notoriamente di sofferenza, in cui la cura e il supporto devono risultare essenza di trattamento e di applicazione concreta del Diritto allo studio, ex art. 34 della Costituzione. Luoghi in cui può affermarsi, anzi, deve affermarsi tale funzione sono sicuramente gli ospedali e gli istituti di pena, ovvero, spazi in cui la cultura e il legame educativo devono lenire la sofferenza, quest’ultima univoca, a prescindere dalla fonte che la genera. In particolar modo l’art. 27 della Costituzione afferma che le pene devono tendere alla rieducazione del reo, al fine di garantire il suo rientro nell’intorno sociale con ravvedimento operoso e con rinnovato approccio civico. Nelle plurime discussioni riguardanti la legalità, si mira ad attenzionare la prevenzione e il contrasto come azioni cardine, senza prestare la dovuta cura all’aspetto riabilitativo. Riportare nell’alveo della legalità che ha vissuto parte della propria esistenza nel disorientamento della illegalità risulta essenziale per un riequilibrio sociale che, spesso, viene minato in maniera superficiale e, ancor più gravemente, all’insegna di un pregiudizio che produce disuguaglianza ed emarginazione. Ricordo il principio postulato dal padre del romanticismo francese, Victor Hugo che sapientemente riteneva che «l’apertura di una scuola segnasse la chiusura di una prigionia», ribadendo l’incontrovertibile valore socializzante della cultura e dell’istruzione.
Lo stesso ordinamento penitenziario, ex Legge 26 Luglio 1975, n. 354, ha ripreso pedissequamente il principio enucleato nell’art. 27 della Costituzione, non relegandolo alla mera declamazione verbale, ma, rendendolo attuativo in maniera concreta, annoverando nell’ambito dell’attività trattamentale il ruolo educativo del docente. Ovviamente, la scuola, al di là delle sbarre, non opera in maniera similare alla comunità esterna, in quanto l’azione didattica deve essere pianificata e condivisa in una apposita commissione per garantire la trasversalità delle azione e per garantire i sovraordinati principi di sicurezza.
Personalmente ho vissuto una esperienza ventennale come docente ‘carcerario’, e ho avuto modo di toccare con mano che l’azione sociale può redimere e convertire, donando nuove prospettive di vita ed eliminando ogni opacità di pensiero e convincimento. Negli anni si sono rilevati successi insperati, molti ristretti hanno conseguito titoli di studio, grazie ai quali si sono introdotti in maniera sana nel mercato del lavoro e hanno riportato la loro esistenza in un alveo legalitario che ha oltrepassato l’esperienza dell’errore e del delinquere, acquisendo ruoli sociali rispondenti ai canoni della dignità umana.
Il celebre maestro Manzi affermava, in maniera speranzosa «Non è mai troppo tardi». Fornire speranza significa dare prospettiva e non far primeggiare un fare pusillanime deleterio ed ostativo.
Anche dove la malattia provoca dolore, sofferenza e ansia, la presenza di un docente e della Comunità Educante rassicura e suscita conforto, nell’ambito di una condivisione che, inevitabilmente, risulta curativa non solo per il degente. Avere contatto con la sofferenza fa crescere, rinforza e amplifica la sensibilità nei confronti delle relazioni di prossimità, attualmente, ingredienti di emancipazione civile e umana che, talvolta, cadono in un colpevole disuso. La Comunità Educante va oltre la propria struttura, oltre la propria azione didattica, riconnettendo l’asset culturale a tutti gli ambiti della vita sociale, divenendo vera Agenzia di socializzazione formale, consentendo ai ragazzi non solo di avere una legittima prospettiva di vita, ma, ancor di più di non ignorare il dolore altrui avendo retrospettiva e condivisione con il proprio prossimo, senza volgere lo sguardo dall’altra parte. In questo modo si cresce e si diventa persona leale e proba. Solo così si avvia pragmaticamente un processo di riqualificazione la cui iniziazione avviene nei banchi di scuola e si protrae per tutto l’arco della vita, andando al di là della soglia dell’essenziale e propendendo per la via dell’altruismo. Immanuel Kant affermava: «Il cielo stellato sopra di me…la legge morale dentro di me…», una chiosa autorevole per quanto evidenziato, precisando che un cielo stellato non può escludere nessuno, nella sua avvolgente illuminazione.
Bentornato,
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