Se l’ipotesi di nuovi dazi sulle merci europee da parte degli Stati Uniti dovesse concretizzarsi, questi ultimi metterebbero a rischio gli equilibri commerciali internazionali con effetti non trascurabili anche sull’economia italiana e del Meridione. È quanto emerge dall’ultimo studio elaborato da Svimez, che ha considerato tre possibili scenari in base all’entità delle imposte e ai settori che eventualmente sarebbero coinvolti.
Il mercato
Come sottolinea Svimez, per il Mezzogiorno il mercato statunitense è particolarmente rilevante: complessivamente la quota Sud dell’export italiano destinato agli Usa si attesta al 12,4%, superiore di circa 2 punti percentuali alla quota verso il mondo. In alcuni settori specifici, come Automotive ed Elettronica&Informatica, il contributo del Mezzogiorno alle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti raggiunge anche il 28,4%. Nell’Agrifood, il dato si attesta al 22,6% e per le esportazioni della Farmaceutica il contributo del Sud è pari all’11,2%. Sugli Energetici, oltre il 64% delle esportazioni italiane verso il mercato statunitense registra come provenienza una regione del Mezzogiorno. «In uno scenario caratterizzato dal rischio di crescenti tensioni commerciali- si legge nell’analisi di Svimez – è necessario definire strategie di politica industriale che sostengano la diversificazione del tessuto produttivo e il rafforzamento e la diffusione dei processi di internazionalizzazione delle imprese, soprattutto nelle aree a maggior potenzialità di crescita del Mezzogiorno».
Lo scenario
Scendendo più nel dettaglio, Svimez ha analizzato due possibili scenari economici, basati rispettivamente sull’applicazione di dazi per tutti i Paesi al 10% e dazi al 20%. A livello settoriale, l’intensità dell’impatto varia a seconda della minore o maggiore elasticità della domanda rispetto all’aumento del prezzo dei prodotti. Per i beni indifferenziati, per i quali una piccola variazione di prezzo può determinare una significativa variazione nella domanda in ragione di una maggiore sostituibilità con altri prodotti, gli effetti sulla contrazione delle esportazioni sono più evidenti. È il caso dei beni agroalimentari, farmaceutici e chimici dove, nello scenario dei dazi al 20%, la contrazione percentuale delle esportazioni è compresa tra -13,5% e -16,4%. Per i beni meno sostituibili, nel cui commercio e produzione l’Italia si colloca su segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto come nel caso del Made in Italy (Moda e Mobilio), si registra la minore variazione percentuale (-2,6%). Per questi casi, le preferenze dei consumatori risultano meno suscettibili alle variazioni di prezzo, con conseguenze meno evidenti anche sui flussi commerciali.
Le conseguenze per il Sud
Gli effetti differenziati a livello settoriale – in ragione di una differente elasticità della domanda al prezzo dei beni – determinano impatti territoriali differenti in base alla specializzazione produttiva delle esportazioni. La composizione settoriale dell’export del Mezzogiorno verso gli Usa si concentra su Agroalimentare e Automotive, particolarmente esposti agli effetti dell’introduzione dei dazi. Per questi motivi, il Mezzogiorno potrebbe essere l’area del Paese più esposta alla minaccia Trump: la contrazione complessiva dell’export verso gli Usa appare infatti più accentuata al Sud sia nell’ipotesi di dazi al 10% (-4,2% Centro-Nord; -4,7 Mezzogiorno) che nello scenario che ipotizza dazi al 20% (-8,5% Centro-Nord; -9,3% Mezzogiorno). Questo potenziale shock negativo di domanda determinerebbe a cascata effetti misurabili anche su Pil e occupazione, sottraendo produzione e lavoro all’economia nazionale. Secondo le stime, nell’ipotesi in cui venissero applicati dazi ai prodotti importati dall’Italia al 10%, il Pil italiano subirebbe una contrazione di 1,9 miliardi: -1,6 miliardi al Centro-Nord e -257 milioni al Mezzogiorno. In termini occupazionali, l’effetto misurato in unità di lavoro a tempo pieno sarebbe di circa 27mila posti in meno, principalmente nel Centro e nel Nord (-23mila). Il Sud, subirebbe un impatto maggiore in termini di contrazione dell’export, ma più contenuto sul Pil e occupazione, per effetto del minor contributo delle esportazioni al valore aggiunto.