«Vicende simili dimostrano quanto grave sia la crisi in cui versano la famiglia e le relazioni. La responsabilità? In certi casi è degli adulti»: ne è convinta Rita Monopoli, psicologa clinica e presidente della sezione pugliese dell’Associazione italiana formatori (Aif).
Dottoressa, che cosa pensa della storia della 13enne che ha denunciato i genitori dopo essersi vista staccare la connessione a internet?
«Il caso mi sorprende relativamente. Anzi, conferma la crisi della famiglia come agenzia educativa e la crisi delle relazioni. E in questo contesto si inseriscono quei 66mila ragazzi italiani, di età compresa tra 11 e 17 anni, che trascorrono gran parte del loro tempo sul web rinunciando a qualsiasi relazione con i loro pari e con gli adulti e, soprattutto, all’esperienza che consente di costruire il sé e la propria identità. È il fenomeno degli hikikomori, sottostimato in Italia. Se sommiamo tutti questi elementi, comprendiamo come il caso della 13enne che ha denunciato i genitori racchiuda in sé tutti i “crucci” della contemporaneità».
Partiamo dalla 13enne, allora: quanto è diffusa la dipendenza da dispositivi come il cellulare?
«È molto diffusa. Tanti ragazzi manifestano la tendenza a trascorrere molto tempo in ambienti virtuali, emulando il comportamento degli adulti o approfittando della mancanza di controllo».
Quindi è colpa dei genitori, secondo lei?
«La tendenza a isolarsi nel web anche per dieci ore al giorno dovrebbe accendere una spia nei genitori. Non è ammissibile che di questo problema ci si accorga soltanto dopo i brutti voti a scuola riportati dalla 13enne. Quindi viene da chiedersi: a chi i genitori hanno demandato il compito di vigilare sui figli? A nessuno, immagino. E qui viene in rilievo la crisi del ruolo genitoriale».
Il fenomeno è diffuso su tutto il territorio nazionale oppure è più accentuato in determinate aree?
«Non ci sono differenze territoriali. La perdita costante di occasioni e luoghi di aggregazione è diffusa ovunque. Il problema è questo: mancano un controllo più attento sui comportamenti dei ragazzi e, nello stesso tempo, occasioni per far sì che gli stessi ragazzi mettano da parte il cellulare e preferiscano la dimensione reale a quella virtuale».
Come si risolvono i problemi che lei ha appena evidenziato?
«Serve un nuovo patto educativo tra famiglia, agenzia educativa, e scuola, agenzia formativa, per il benessere dei ragazzi. Il che significa innanzitutto ripartire dal dialogo in famiglia: se mio figlio trascorre dieci ore al giorno sul web, io genitore devo comprendere che lui sta facendo qualcosa di potenzialmente dannoso e quindi indirizzarlo correttamente. Altrettanto importante è il ruolo della scuola che deve insegnare ai ragazzi che navigano sul web a distinguere le fonti, disambiguare le informazioni, discernere tra ciò che appare e ciò che è. In concreto, sono indispensabili momenti di formazione per le famiglie e per i docenti e occasioni e luoghi di aggregazione per i nostri ragazzi».