Nel mondo distopico prossimo venturo arriverà Eracle a catturare il Cerbero prima che il mondo si trasformi nel regno dei morti? Intanto con l’insediamento del monarca – anzi, del presidente degli Stati Uniti – ha preso il via una sorta di gara a cercare il nuovo, il rivoluzionario, il sorprendente in Donald Trump, il magnate che immagina di essere stato acclamato monarca americano piuttosto che eletto presidente degli Stati Uniti.
Da qualche parte addirittura gli si dà atto e merito di aver disvelato le ambizioni, oltre che le pratiche, di dominio imperiale degli Usa. Laddove i predecessori facevano e negavano o agivano per interposti soggetti, servizi segreti o addirittura nazioni alleate, egli rivendica il proprio diritto a fare grande l’America a dispetto e discapito degli altri. E tuttavia non mi pare che il disvelamento della natura imperialista degli Usa possa essere l’aspetto più rilevante, quasi rivoluzionario addirittura, del trumpismo. Con venature meritorie, perfino. È pur vero che la vocazione imperialista americana regna da vecchia data.
I misfatti in Vietnam fanno parte della memoria collettiva del mondo intero. Ma anche i golpe in America Latina, con il colpo di stato contro Salvator Allende, in Cile, su tutti. E poi il Medio Oriente e lo scempio di Baghdad, con le bugie sulle armi chimiche, e l’Afghanistan… Ma l’America aveva degli anticorpi potenti. I primi contestatori del loro governo erano gli americani.
Le manifestazioni oceaniche nascevano in America per poi tracimare in Europa e nel mondo intero. Eravamo tutti anti-americani, ma tutti avevamo coscienza di avere nell’America la sponda più solida proprio quando bisognava scendere in piazza a difesa della libertà e contro le politiche imperialiste americane.
La Costituzione americana, che nella sua formulazione aveva accolto il pensiero del giurista napoletano Gaetano Filangieri sul dovere degli Stati di fissare quale obiettivo la felicità del proprio popolo, era uno scudo potente e invincibile, come quello di Achille, contro ogni deriva liberticida mentre l’animo dei giovani americani era intriso della compassione universale di Ettore.
Quindi non credo che la arrogante decisione del nuovo presidente di affermare “apertis verbis” la sua volontà di fare esercizio di violenta persuasione o di guerresca rapina tout-court contro quanti si troveranno di traverso sulla sua strada meriti l’onore del riconoscimento di una qualche meritoria “sincerità”. Essa non annullerà il baratro delle sue responsabilità né concederà ai popoli interessati qualche possibilità di sottrarvisi o di proteggersi e tanto meno indurrà alla ragione il magnate o sovrano che l’ha formulata rivendicando a sé il diritto divino ad annettere, comprare, occupare, conquistare tutto quel che gli viene in mente, esattamente come nella scena del mappamondo de “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin. Se mai ci troviamo davanti a un avvertimento. L’avvertimento del potente che piega la forza dello Stato, lo Stato più potente del mondo, alle sue pulsioni offrendo ai malcapitati l’alternativa di piegarsi al suo volere onde evitare di assaggiare le randellate del suo bastone.
Quel che caratterizza la nuova presidenza americana è l’assenza degli anticorpi nel popolo che l’ha acclamato. Il fatto, questo sì straordinario, di poter sfidare il mondo, la storia, il pianeta e l’Umanità, impunemente, affermando imperterrito che Dio è dalla sua parte anche quando promette di prendersi Panama, il Canada e la Groenlandia, rinominare il golfo del Messico in Golfo d’America, e annuncia le deportazioni di milioni di malcapitati stranieri, migranti, infiltrati, perseguitati, sfruttati e morti di fame. E tutto ciò senza che si sollevi la marea della coscienza civile dell’America e non si manifesti la reazione del mondo intero. Perché la coscienza del mondo, che include quella americana, da molto tempo ormai è stata tacitata, rimossa.
Il mondo resta immobile davanti all’arroganza senza freni di un neo-presidente gravato, come i signori medievali, di un’irrilevante condanna penale. Tende l’orecchio a cogliere l’ossequio rivolto al gotha degli oligarchi iper-capitalisti che lo attorniano, osserva curioso e imperterrito il saluto romano o nazional-fascista del suo oligarca più influente, contempla sé stesso ridotto a un corpo “orbo di ogni spirito”, per parafrasare il Manzoni.
Dal canto loro gli altri vertici della triade mondiale che promette di seviziare il mondo attendono frementi. Tutte le guerre saranno chiuse perché ciascuno combatta impunemente le sue. Poi i dazi faranno il resto. I dazi selettivi che premieranno qualcuno e puniranno qualche altro. Le quotazioni speculative delle materie prime energetiche e non che arricchiranno alcuni e impoveriranno tutti gli altri. Gli scudi stellari che copriranno le nazioni amiche e potranno essere accesi e spenti in ossequio ai superiori interessi della triade e in ottemperanza alla decisione di abbattere i malcapitati recalcitranti e mantenere l’ordine mondiale affidato al rinato Cerbero dalla triplice testa. Senza che gli anticorpi accendano la protesta e innalzino, come la luna piena, la marea oceanica a cui pure l’America ci aveva abituato. O magari sì, come sperano gli ultimi resistenti e quanti fanno ancora tifo per l’Umanità.
Su tutto oggi regna la volontà del monarca e degli oligarchi americani di portare gli Stati Uniti a essere una delle tre teste del digrignante Cerbero iper-capitalista che domina il pianeta. Le altre due teste, essendo quelle che fan capo alla Russia di Putin e alla Cina di Xi Jinping, sono ormai libere di muoversi a loro piacimento. Putin guarderà con tranquilla pazienza all’Est europeo e alle sponde del Mar Baltico, Xi Jinping al Mar cinese meridionale e a Taiwan oltre che alla normalizzazione delle aspirazioni indipendentiste che fremono dentro e fuori i suoi confini.
Le tre teste del Cerbero, insieme, imporranno il loro potere al mondo, libere di aggredire con l’unica condizione di non azzannarsi a vicenda, pur coltivando in fondo all’animo una gran voglia di sopraffarsi reciprocamente inseguendo il sogno di rimanere da soli a comandare. Perché la metastasi dell’iper-capitalismo oggi segna il mondo, dovunque. Essa non solo ha distrutto il capitalismo, un tempo motore del progresso dei popoli, ha diffuso le sue terribili degenerazioni anche in quel che resta del comunismo, in Cina, avendo già impregnato di sé i regimi dittatoriali-sovranisti, Russia in testa.
E tuttavia vi è una differenza abissale quanto paradossale tra Stati Uniti, Cina e Russia. E tutta a sfavore dei primi. Putin e Xi Jinping controllano gli oligarchi dell’iper-capitalismo russo o cinese. Quelli, infatti, si configurano comunque come escrescenze, sia pure aberranti, dello Stato e creature devote del suo indiscusso capo al quale devono cieca obbedienza. Trump al contrario non controlla i suoi oligarchi ma ne è controllato, e attraverso lui quelli controllano lo Stato americano. È una verità scomoda destinata a far tremare il mondo intero e soprattutto l’Europa ridotta a un ectoplasma alla mercé di chi, tra le teste del Cerbero, rovistando di qua e di là, se ne vorrà impadronire magari adescando i governi nazionali pronti a scegliere in funzione delle proprie simpatie o interessi personali o del gruppo di potere, ovviamente, essendo scomparsa ogni ambizione di rappresentare lo Stato e perseguire la felicità dei popoli che lo sostanziano.
Siamo ormai nel vortice di un mondo distopico che ha preso a vorticare senza freni e che non si fermerà più, sono tentato di affermare. Ma tale asserzione avrebbe bisogno di essere sostenuta con altri ragionamenti troppo lunghi per per un articolo di quotidiano. Qui e adesso basta osservare quel che si sta muovendo nel mondo per farsene un’idea. Una triste idea. Sperando che gli anticorpi si siano solo nascosti e che prima o poi la marea della ribellione torni a montare magari annullando ogni idea triste.
Bentornato,
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