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La “speranza” per Luca Trapanese: «L’Italia sia più attenta a diritti e inclusione» – L’INTERVISTA

Lei ha un’aura angelica, capelli biondi, un sorriso contagioso: potrebbe essere il condensato vivente della gioia, della purezza, della speranza. Lui, di questa speranza, è diventato genitore, ambasciatore, testimone. Si tratta di Alba e Luca Trapanese, figlia e padre, uniti da un legame indissolubile raccontato, nel 2023, dal film “Nata per te” che ha fatto…
luca e alba trapanese

Lei ha un’aura angelica, capelli biondi, un sorriso contagioso: potrebbe essere il condensato vivente della gioia, della purezza, della speranza. Lui, di questa speranza, è diventato genitore, ambasciatore, testimone. Si tratta di Alba e Luca Trapanese, figlia e padre, uniti da un legame indissolubile raccontato, nel 2023, dal film “Nata per te” che ha fatto da megafono a una delle questioni più scottanti che lo stato italiano ancora non affronta in tema di genitorialità: l’adozione per i single.

Se dovesse condensare in poche parole cosa significa per lei la speranza, che cosa direbbe?

«La possibilità di realizzare ciò che più mi fa star bene e che rispecchia la mia persona. La speranza per me è che Alba, mia figlia, non sia vista come un’handicappata ma come una bambina con disabilità, quindi come una persona che ha delle potenzialità e delle capacità e che ha bisogno solo di avere la speranza di trovare negli altri la fiducia».

E per Luca “uomo”?

«Per me ovviamente e per la mia storia la speranza è che l’Italia possa diventare un paese che stia più attento ai diritti di tutte le diversità. Cioè la mia speranza è che ci sia un’adozione per i single e non un articolo a cui aggrapparsi di quarant’anni fa. Un paese che sia più all’avanguardia rispetto ai cambiamenti di una comunità che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata».

Nel corso di questo suo cammino ci sono state persone che in qualche modo l’hanno sostenuta in questa speranza, che le hanno acceso anche altre “fiammelle”?

«Allora, io questo percorso l’ho fatto tutto da solo e c’è una cosa molto chiara che ti devo dire: non pensavo di arrivare a questo. Cioè quando io sono entrato in tribunale non avrei mai potuto immaginare di poter adottare, perché il single in Italia non può adottare, non può entrare in tribunale e fare il percorso al pari di una coppia etero. Per cui io fondamentalmente ho scelto di donarmi come adulto al Tribunale dei minori di Napoli per un bambino che ne avesse bisogno, soprattutto per un bambino che era in uno stato di affidabilità, non di adozione, e non ho posto nessun limite. L’ho fatto completamente da solo. Quando poi sono stato chiamato per Alba che aveva una situazione giuridica molto precisa – perché era stata dichiarata adottabile dopo che partorita e lasciata in ospedale dalla madre e dal padre – lì è cambiata completamente la prospettiva. Studiandomi l’articolo 44 della legge sull’adozione io ho capito che avevo un percorso da tentare e che non era certo: a quel punto io l’ho condiviso con l’avvocato che era mia cugina, con i miei genitori, e loro mi sono stati vicini. Mi hanno accompagnato, ma solo dopo l’affido di Alba. Tutto il percorso precedente io l’ho fatto da solo, anche perché pensavo che mi chiamassero per avere un bambino nel weekend, per fare i compiti, invece è arrivata direttamente la neonata di 27 giorni».

Qualcuno, invece, le ha mai sconsigliato di portare avanti questo percorso?

«Sì, mi ha sconsigliato soprattutto perché parlavamo di disabilità: c’era un mio caro amico, che poi non ho mai più rivisto, che mi disse “ma tu sei pazzo, ti prendi una bambina disabile: vuoi rovinare la tua vita?”. Invece io ero convinto, non perché volessi fare un gesto di carità ma perché sentivo forte il desiderio di genitorialità, perché io conoscevo la disabilità e conoscevo anche la sindrome di Down. Non ho mai visto Alba come un problema, l’ho sempre vista come un’opportunità. Io credo che la disabilità è un problema della società, di questo amico che rappresenta la società e che non aveva gli strumenti per capire che Alba che entrava nella mia vita era un una grande ricchezza».

Se potesse smuovere qualcosa arrivando a essere parlamentare, un domani, e se potesse proporre un disegno di legge, quale sarebbe il primo?

«Il primo: eliminare gli ambiti. Ormai i comuni non hanno le capacità, le professionalità per attivare i servizi e quindi spesso non conoscono nemmeno le possibilità. Nel mio piccolo, quando io come assessore alle politiche sociali partecipo ai bandi regionali, dico ai colleghi di piccoli comuni come si possono muovere. Forse io farei questo: inizierei a creare una politica formata. Chi arriva ad amministrare, non ha le competenze e quindi non riesce a capire che ci sono delle potenzialità che non vengono sfruttate, e per questo l’ambito funziona male. Non sa né che soldi sono né i bisogni dei cittadini quali sono né come rendere concreti quei soldi, come realizzarli in servizi. Ti faccio un esempio sulla disabilità: da quando io sono assessore ho attivato a Napoli 97 progetti del “dopo di noi” e 42 sono in fase di approvazione. Ci sono alcuni ambiti della regione Campania che non ne hanno attivato neanche uno: significa che tu hai innanzitutto escluso una persona con disabilità dall’avere dai venticinque ai quarantamila euro all’anno per abbattere le barriere architettoniche, per costruirsi una vita autonoma, avere l’educatore, avere una persona che la porta in giro, poter fare sport, poter andare al cinema. Io chiederei anche un’altra cosa: che nel welfare i dirigenti non siano laureati in giurisprudenza o in architettura ma nelle scienze sociali».

Un’ultima parola: per seminare la speranza nelle generazioni più giovani, cosa metterebbe nelle loro mani?

«La curiosità».

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