Ricotta bio consegnata alle grandi catene di supermercati come Bio, ma ottenuta con ingredienti convenzionali, privi della certificazione. O ancora il maxi sequestro da parte della guardia di finanza di Catanzaro di olio spacciato per “Extravergine di oliva Bio” e destinato ad un’azienda della Bat. Le frodi alimentari sono un rischio per le aziende del settore, ma ci sono pratiche e protocolli innovativi per evitare le contraffazioni e tutelare il mercato. Come spiega Cesare Pinto, cofounder e amministratore delegato di FoodInnLab, società di consulenza specializzata nel settore agroalimentare.
Recenti casi di cronaca hanno messo in luce il rischio delle frodi alimentari. Come si classificano?
«Ci sono due tipologie principali. Quella sanitaria che incide sulla salute dei consumatori e riguarda elementi come la cattiva conservazione degli alimenti, la loro adulterazione o metodi di lavorazione sbagliati, ad esempio. E la frode commerciale, che implica una vendita di un prodotto spacciato per un altro con caratteristiche diverse: sofisticazione, contraffazione vera e propria o una diversa composizione del prodotto rispetto a quella indicata sull’etichetta e comunicata»
Come si possono prevenire?
«Si tratta di un problema importante per le aziende che lavorano nel settore alimentare. Il rischio frode è divenuto uno di quelli più impattanti sui mercati, soprattutto per l’ampliarsi a livello globale della catena di fornitura. Le frodi alimentari non sono più affrontate solamente attraverso dei protocolli di qualità, ma è normata da una certificazione Iso 22380 del 2018 che definisce delle procedure di controllo per mappare i rischi di frode. A questo si sta affiancando il GFSI (Global Food Safety Initiative) che raccoglie tutte le iniziative che un’azienda pone in essere per controllare i rischi. L’azienda deve mettere in piedi una squadra dedicata che si occupi di valutare questo tipo di rischi e metta in atto una serie di controlli specifici. Anche con un audit delle aziende terze che forniscono i prodotti. A questo si aggiungono ovviamente esami di laboratorio specifici chimici e molecolari per verificare effettivamente che il prodotto che viene introdotto sia conforme a quanto rappresentato dall’etichetta».
Cosa cambia rispetto al passato?
«Mentre prima tutto questo faceva parte di un processo di qualità dell’azienda, oggi la procedura per la food fraud deve essere una procedura standard e dedicata, definendo tutti gli strumenti sia giuridici che tecnici, servendosi anche delle autorità competenti, dei laboratori di analisi, le Asl, i nuclei anti frode. Va fatta un’analisi completa della vulnerabilità dell’azienda e dei rischi e sviluppare dei piani di mitigazione e di risoluzione del problema aumentando i controlli e i processi di audit, la formazione sui buyer che acquistano e su chi si occupa dell’ufficio controlli. Non tutte le aziende possiedono gli strumenti e le competenze per affrontare tutto il processo. Ed è qui che entrano in campo le società di consulenza: per dare supporto e migliorare tali processi».