«Bari non è una città notturna, e non ha la vocazione per diventarlo. Così si favorisce la criminalità». A scattare una fotografia di cause ed effetti della “movida” nel capoluogo pugliese è il sociologo Leonardo Palmisano.
Cosa si intende per “movida”?
«Terminologicamente è un errore chiamarla movida, perché è una parola che allude all’aggregazione non soltanto giovanile, di carattere culturale e politico. L’aggregazione barese invece, come gran parte di quella giovanile pugliese notturna, è prevalentemente orientata al consumo. Si parla più di un’aggregazione sottoculturale e, di politico, almeno in termini diretti c’è poco».
Cosa comporta questa differenza?
«Questa distinzione sgombra il campo da una serie di equivoci in cui rischiano di incorrere anche le politiche cittadine. Se l’aggregazione è orientata a un consumo nei locali, al chiuso e all’aperto, non è sempre un consumo di sostanze lecite. Perché se la cosiddetta movida o mala movida contiene il consumo di sostanze stupefacenti e la vendita di alcolici anche a minori, allora l’intervento sui locali è necessario. Quasi obbligatorio. Quindi condivido che si intervenga sulla regolamentazione».
Da dove iniziare dunque?
«La regolamentazione deve tenere conto, intanto, del fatto che la concentrazione eccessiva di questi locali in alcuni rioni della città è anche esito di politiche che hanno voluto che si aprissero attività in quei territori. Se io convoglio delle risorse sulle zone prossimali della costa o nella zona del Murattiano, va da sé che lì avrò un’eccedenza di presenze che stonano con quelli che sono i ritmi regolari di chi lavora».
Cosa fare per risolvere il problema?
«Il tema vero non è soltanto quanto viene disturbato chi ci abita, ma quanto diventa difficile conciliare il riposo necessario per chi lavora di giorno con la presenza notturna di un’aggregazione giovanile consumistica e rumorosa. Non basta la repressione. Quello che è mancato è una politica di prevenzione che parlasse anche ai giovani nelle scuole dicendo loro che il consumo di sostanze stupefacenti è qualcosa che alimenta le mafie baresi».
Che attinenza c’è tra “movida” criminalità?
«Le nostre mafie, se riescono a fare investimenti importanti anche nei locali della movida in termini di riciclaggio di denaro sporco, è perché quel denaro è provento di uno spaccio di stupefacenti che avviene prevalentemente in città».
La presenza della criminalità nei luoghi di aggregazione è una conseguenza o una causa?
«La lettura classica del fenomeno criminale e del suo radicamento è che l’offerta va dove c’è la domanda. È la mafia che va dove c’è più domanda. Non sto dicendo che i locali sono tutti criminali, ma che da lì poi si possono vedere alimentati fenomeni quali il favoreggiamento del racket nei confronti dei locali che non sono appartenenti alla criminalità organizzata».
Cosa serve alla città?
«Serve che si animi un percorso di netta contrarietà a quella cultura consumistica che invece è quella che inevitabilmente favorisce un’aggregazione giovanile che porta a turbare il sonno, indubbiamente legittimo, di chi abita e lavora, che è maggioritaria rispetto al numero degli esercenti notturni. Si metta l’anima in pace chi pensa che Bari debba diventare una città notturna, perché non lo è e non ha la vocazione per diventarlo. Bari è una città di servizi prevalentemente di pubblico impiego e imprese. Poi, a nutrirsi fortemente di questa movida, non solo gli esercenti regolari ma anche le mafie. Non possiamo dimenticarlo».