L’evoluzione normativa intervenuta nel corso del tempo ha seguito un approccio partecipativo, cooperativo e solidale che coinvolge la società e le strutture normative a “multilivello”. L’impostazione dell’articolo 5 Costituzione tendeva già a valorizzare un contatto tra enti locali (comuni) e cittadini attraverso la sussidiarietà orizzontale nei limiti della unitarietà della Repubblica. L’armonizzazione che è proseguita, con la modifica del Titolo V della Costituzione all’articolo 118, ha favorito l’ottimizzare delle funzioni amministrative, attribuendole ai Comuni sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Importante anche l’art. 3 Costituzione, il principio di uguaglianza che ha una precisa funzione: quella di misurare gli standard legislativi. In particolare, affinché una disciplina valorizzi il principio in questione è necessario che vengano trattare materie uguali in modo uguale e materie diverse con discipline diverse. Da non tralasciare, l’articolo 97 che enuncia i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e quindi i criteri aziendalistici della efficienza, efficacia ed economicità.
A livello di formazione abbiamo assistito, poi, a interventi che hanno teso ad abbandonare una scuola verticistica a favore di una nuova struttura scolastica fondata sull’autonomia. Si è così giunti ad Dpr 275 del 1999 concernente la “disciplina dell’autonomia scolastica” che tende a riconoscere più autonomia all’insegnamento. Nel nuovo assetto normativo l’art. 25 D. Lgs. 165 del 2001 riconosce la gestione unitaria dell’istituzione al dirigente scolastico che è il legale rappresentante, responsabile della gestione delle risorse finanziarie, strumentali e dei risultati del servizio ed opera nel rispetto delle competenze degli organi collegiali. Il dirigente promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi, la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l’esercizio della libertà di insegnamento, per l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli alunni.
L’autonomia scolastica e la figura dirigenziale, cambiano, oggigiorno, la “vision” e la “mission” dell’istituzione scolastica, che trovano fondamento sugli accordi di rete, dove le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi o aderire ad essi per il raggiungimento della proprie finalità istituzionali. Possono avere ad oggetto: attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; di amministrazione e contabilità, fermo restando l’autonomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni e servizi, di organizzazione e di altre attività coerenti con le finalità istituzionali; se l’accordo prevede attività didattiche o di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, è approvato, oltre che dal consiglio di circolo o di istituto, anche dal collegio dei docenti delle singole scuole interessate per la parte di propria competenza.
Interessante è anche il comma 8 che riconosce alle istituzioni aderenti agli accordi di rete la facoltà di sottoscrivere accordi con enti, associazioni ed agenzie presenti sul territorio. L’art. 8 prevede due parti rilevanti. Il comma 1 disciplina una serie di attività stabilite dal Ministero e al comma 2 promuove l’attuazione dell’autonomia scolastica. Tuttavia, va precisato che l’esercizio dell’attività formative in autonomia non deroga ai principi previsti dalla materia pubblicistica. In particolare, trova applicazione la Legge 241 del 1990 relativa al procedimento amministrativo. Rilevante è, anzitutto, l’art. 1 comma 1 bis che prevede che laddove la P.A. non intenda adottare poteri autoritativi, agisce secondo le norme di diritto privato. Altra disposizione interessante è l’art. 11 della medesima legge che promuove gli accordi nel perseguimento del fine pubblico. Ed infine, la disposizione di cui all’art. 14 che contempla la conferenza dei servizi, ovvero lo strumento attraverso cui le P.A. (istituti scolastici) si incontrano per promuovere attività di natura privatistica (accordi di rette o patti di comunità).
In tale ottica, i Patti educativi di Comunità certamente costituiscono un privilegio per il territorio, in quanto si coinvolgono gli attori presenti in una determinate realtà territoriale, tali da rendere protagonisti tutti gli stakeholder presenti ed a valorizzarne le ontologiche diversità. I Patti sono venuti in auge durante la difficile realtà pandemica che ha saputo tirar fuori le nostre qualità e comprendere che attraverso gli strumenti già esistenti si poteva assicurare, seppur con mille difficoltà, una proposta educativa evoluta. Va riconosciuto che già “La buona scuola” tendeva a disciplinare i Patti. In questo quadro di idee, i patti tendono a fornire soluzioni a problemi gestionali ed organizzativi che mirano ad ogni singola esigenza degli studenti, nonché di coloro che successivamente intendano intraprendere corsi di studio. Si crea così una offerta formativa come un abito su misura per i discenti.
Tuttavia, un Patto per poter assolvere alla sua funzione è necessario che gli attori presenti sul territorio compiano un’attività di ricognizione che tenga conto: a) delle risorse sociali, culturali, civiche ed economiche presenti sul territorio; b) dei bisogni e delle specifiche necessità del territorio sotto il profilo dei diritti degli alunni; c) della partecipazione attiva degli alunni delle famiglie, delle istituzioni private e pubbliche e delle qualità degli spazi pubblici all’interno della comunità educante. Ne deriva che l’obiettivo che si intende perseguire con i Patti educativi è senza dubbio quello di curare le situazioni di fragilità ed eliminare il gap formativo ed educativo imperante sul territorio. Gli attori della formazione sono i protagonisti della co-programmazione e la co-progettazione, che si ispirano al principio di sussidiarietà orizzontale enunciato dall’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione. Tale percorso, avviato circa vent’anni, è proseguito più recentemente con l’emanazione dell’art. 55 del Codice del Terzo settore e con le Linee Guida sul partenariato sociale emanate dal Ministro del lavoro nel 2021, oltre alle intrinseche linee guida dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e Anci (Associazione nazionale comuni italiani) in materia di rapporti tra P.A. e Terzo settore. La relazione tra enti pubblici e Terzo settore, in tale frangente, sono ispirate al principio di collaborazione, non come nel caso dei soggetti di mercato, interessi diversi e contrapposti, ma un accordo di partenariato per perseguire insieme una finalità condivisa oltre che sui principi di trasparenza, partecipazione, corresponsabilità e sostegno. Con l’istituto della co-progettazione il panorama del partenariato sociale introduce la possibilità di sperimentare forme di partenariato più ravvicinate, secondo un’organizzazione reticolare e più snella, in grado di incrementare la condivisione di responsabilità, nella realizzazione dei servizi di welfare locale, sia in collaborazione con le scuole (come già avviato con il Ministro Bianchi che ha voluto fortemente con l’introduzione dei Patti Educativi di Comunità presupposto che poi ha dato il via alle “nuove collaborazioni”), sia con le amministrazioni locali. Il Terzo Settore, attraverso questo strumento, viene posto davanti ad un’ulteriore sfida, ovvero partecipare alla relazione di partenariato con l’ente pubblico, non come singole organizzazioni, ma costituendo un’aggregazione, una sorta di “pre-partenariato”. Questo comporta, inevitabilmente, la necessità di ripensare le relazioni tra organizzazioni diverse (che si trovano spesso su altri fronti ad essere competitor per l’aggiudicazione di appalti e di gare) arrivando a costituire per l’ente pubblico un interlocutore unico, capace di mettere a sistema tute le competenze presenti e di organizzare compiti e responsabilità di intervento in forma unitaria.
Un ultimo richiamo, che ritengo fondamentale, è il D. Lgs, n. 36 del 2023, il nuovo codice degli appalti che prevede la possibilità per le P.A. di contrattare direttamente con i privati, senza l’adozione della procedura ad evidenza pubblica, per tutti gli acquisti di beni o servizi sotto la soglia comunitaria (art. 14) nei limiti del principio di rotazione (art. 49). La semplificazione delle procedure, credo personalmente, renda più accessibile e realizzabile gli obiettivi e le finalità dei Patti ai fini del miglioramento dell’offerta formativa sul territorio alle studentesse e agli studenti.
Bentornato,
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