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Max Giusti si racconta: «Che bello lavorare in tv con i Gialappi» – L’INTERVISTA

Max Giusti, tra i volti più amati della comicità italiana, è in tour con “Bollicine”, uno spettacolo che segna una tappa fondamentale nel suo percorso artistico. Lo show porta sul palco un Max inedito, pronto a condividere con il pubblico verità personali e scomode, in un mix di risate e riflessioni profonde. Non solo uno…

Max Giusti, tra i volti più amati della comicità italiana, è in tour con “Bollicine”, uno spettacolo che segna una tappa fondamentale nel suo percorso artistico. Lo show porta sul palco un Max inedito, pronto a condividere con il pubblico verità personali e scomode, in un mix di risate e riflessioni profonde. Non solo uno show, di più: un viaggio intimo e autentico, in cui Giusti offre il suo sguardo sulla società contemporanea, senza risparmiare incursioni musicali che svelano le doti canore dell’artista. Dopo aver attraversato l’Italia nell’autunno 2024, il tour proseguirà con nuove date: Assisi (il 7 febbraio), Latina (22 febbraio) e tante altre fino alla chiusura sul palco dell’Arcimboldi di Milano, il 21 marzo.

Partiamo con il tour “Bollicine”. Cosa deve aspettarsi il pubblico che ha acquistato il biglietto per vedere questo nuovo spettacolo?

«Questo tour è un po’ il completamento del mio percorso artistico. Volevo uno spettacolo che mi rappresentasse al 100%, che fosse contemporaneo. Lo spettacolo è una vera e propria macchina del divertimento. Credo sia, anche fisicamente, il più impegnativo che abbia mai fatto: in due ore c’è un ritmo di risate travolgente, ogni volta che salgo sul palco mi sembra di entrare in un vortice».

Come in una lavatrice, insomma.

«Esatto, ma prometto che non farò la centrifuga (ride ndr). Con ”Bollicine” affronto i temi del mondo contemporaneo: il patriarcato, la società post-patriarcale, il bodyshaming, il cambiamento della musica, la trap, che ormai è ovunque, anche a Sanremo. Parliamo di temi come il cambiamento nella corteccia dei giovani: come si corteggiano i ragazzi oggi? Loro tramite i social, noi più grandicelli tramite le app. Lo spettacolo esplora anche la generazione dei nostri genitori, che cominciano a invecchiare: per mio padre la chiamata di un call center diventa quasi un’esperienza esotica, soprattutto se dall’altra parte del telefono c’è la voce di una signorina giovane (ride ndr)».

Quindi possiamo dire che “Bollicine” nasce dal suo sguardo sul presente?

«Assolutamente. Lo spettacolo precedente era molto bello, ma non mi rappresentava più, era superato. Per “Bollicine” ho lavorato moltissimo, l’ho costruito da zero; un lavoro durato tre anni».

Visto che è già in tour da un po’, ci può raccontare qualche “dietro le quinte”?

«La vera novità di questa edizione sono i due “intrusi”. Mi riferisco alle parodie di Aurelio De Laurentiis e Alessandro Borghese. Inizialmente non volevo portare le parodie in questo tour, ma sono diventate talmente virali che ho dovuto includerle. Quando Borghese entra in scena, spesso la sala esplode in un boato. Ho dovuto mettere insieme trucchi, effetti speciali e trasformazioni per portare in scena questi personaggi, ma non farmi dire altro, non voglio spoilerare troppo».

Quanto lavoro c’è dietro un’imitazione che in scena dura un minuto o due?

«C’è un lavoro enorme. Ogni personaggio ha il suo approccio, la sua costruzione. Per esempio, su Alessandro Borghese ho lavorato tantissimo. Non riuscivo a trovare la giusta intonazione della sua voce, e infatti se guardi la prima e la seconda edizione del “Giallappa’s Show”, Borghese è cambiato. L’ho fatto mio, dopo tanto lavoro. Per Aurelio De Laurentiis, invece, è stata una specie di magia. L’ho incontrato, ho lavorato con lui, e a un certo punto mi sono accorto che la sua voce era entrata dentro di me. Sono due personaggi totalmente diversi, ma li sento entrambi molto miei».

Cosa l’ha spinta a fare il comico?

«Credo che il desiderio di far ridere nasca da un bisogno di accettazione. Sono figlio unico e i miei genitori lavoravano molto, quindi spesso mi ritrovavo da solo. Per farmi accettare dagli altri, l’unica chiave era farli ridere. Era un modo per sentirmi parte di qualcosa, per sentirmi incluso. Questo è stato il mio punto di partenza: far divertire gli altri per sentirmi parte di un gruppo».

Ogni volta che mi interfaccio con qualcuno che fa il suo mestiere, mi viene in mente il libro “Opinioni di un clown” di Boll: la storia di un clown triste che deve fare i conti con la sua vita privata che va a pezzi. Lei come le vive queste spaccature interiori?

«Non sono il tipo che si traveste da clown per nascondere una tristezza interiore. Al contrario, fuori dal palco sono un ottimista, un tipo che vede il bicchiere mezzo pieno. È vero che c’è una parte malinconica in chi fa il mio lavoro, ma è una malinconia legata al sogno. Sono un sognatore, vengo da una famiglia normale, senza nessuna tradizione artistica. La parte malinconica è legata proprio al fatto che il sogno si è realizzato».

Come si trova a lavorare con la Gialappa’s Band?

«Lavorare con loro è un privilegio. Li conosco da tanti anni, ci siamo incontrati durante varie trasmissioni, come “Quelli che il calcio” e il “Dopo Festival”. Ci siamo sempre rispettati molto, e sono onorato di essere al loro fianco. Poi insieme ci divertiamo. Recentemente, siamo stati insieme a Milano per una registrazione, e dopo le dirette ci siamo fatti applausi l’un l’altro. È stato emozionante».

Ha dei colleghi con cui le piacerebbe lavorare?

«Mi piacerebbe lavorare con Dario Ballantini e Ubaldo Pantani. Nonostante facciamo parodie tutti e tre, ci sono differenze tra i nostri stili. Sarebbe bello creare un programma insieme, magari tutto incentrato sulle parodie».

È diventato più difficile far ridere oggi, con il politicamente corretto che incombe?

«Penso che sia giusto rispettare le sensibilità del pubblico. E non sono d’accordo con chi dice che non si può più far ridere oggi. È vero che la società è cambiata, ma se non rispetti i cambiamenti, vuol dire che non stai guardando quello che succede intorno a te. Se per far ridere devo offendere qualcuno per il suo orientamento sessuale, per il suo aspetto fisico o per il colore della sua pelle, allora è meglio che cambi mestiere. La comicità oggi deve essere diversa, al passo con la società: più consapevole, più rispettosa».

Come si sta preparando al nuovo anno?

«Con un ritorno su Rai 2 con il programma “Boss in incognito». Andremo in onda il 13 e il 20 gennaio in prima serata».

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