Il panorama occupazionale italiano sta attraversando una fase di profonda trasformazione, caratterizzata da dinamiche contrastanti. Da un lato, assistiamo a un incremento dell’occupazione trainato dai “boomers” e dai laureati, dall’altro emergono problematiche legate al mismatch tra domanda e offerta di lavoro, con un focus particolare sul fenomeno della sovraistruzione. Ma cosa si cela dietro questi numeri apparentemente contraddittori?
I recenti dati Istat mostrano un aumento dell’occupazione, con un tasso che ha raggiunto il 61,8% nel terzo trimestre del 2023. Questo incremento è stato principalmente guidato da lavoratori over 50 e laureati. La crescita tra gli over 50 potrebbe essere attribuita all’innalzamento dell’età pensionabile o alla necessità di prolungare la vita lavorativa per motivi economici. Tuttavia, dobbiamo chiederci: questo trend è sostenibile nel lungo periodo? Quali saranno le conseguenze sul ricambio generazionale?
L’aumento dell’occupazione tra i laureati sembrerebbe positivo, ma emerge un fenomeno preoccupante: la sovraistruzione. Molti giovani altamente qualificati svolgono lavori che non richiedono le competenze acquisite durante gli studi. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro non è nuovo, ma si acuisce in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici e sociali. Come possiamo colmare questo gap?
Immaginiamo un futuro in cui scuole e università siano in costante dialogo con il mondo del lavoro. Cosa succederebbe se i giovani, fin dai primi anni di studio, potessero toccare con mano le realtà lavorative che li aspettano? Non solo stage o tirocini, ma un vero percorso di orientamento che li accompagni durante tutto il cammino formativo.
E se le aziende diventassero parte attiva nella formazione dei lavoratori? Potremmo immaginare un sistema in cui l’apprendimento continua per tutta la vita lavorativa, con le imprese che diventano centri di formazione continua, investendo sulle persone e sulle loro capacità in evoluzione. Pensiamo anche a come sfruttare la ricchezza rappresentata dalla coesistenza di diverse generazioni sul luogo di lavoro. Invece di vedere i “boomers” come un ostacolo, potremmo creare programmi di mentoring in cui l’esperienza dei lavoratori senior si fonde con l’entusiasmo e le nuove competenze dei giovani.
E se parlassimo di flessibilità? Non quella che precarizza il lavoro, ma quella che permette di adattare i modelli organizzativi alle diverse competenze e aspirazioni dei lavoratori. Immaginiamo aziende capaci di valorizzare veramente il potenziale umano, creando ruoli su misura. La vera sfida sta nel passare dalla teoria alla pratica. Come possiamo trasformare queste idee in realtà concrete? Quali ostacoli dobbiamo superare? E soprattutto, chi deve fare il primo passo? Il futuro del lavoro in Italia non è scritto. La domanda che dobbiamo porci non è se siamo pronti, ma come possiamo prepararci al meglio per cogliere questa opportunità di rinnovamento.
La risposta sta nella capacità di tutti gli attori coinvolti di collaborare in modo sinergico per creare un mercato del lavoro più dinamico, inclusivo e allineato alle sfide del futuro. L’ottimismo non deriva dalla negazione dei problemi, ma dalla consapevolezza che abbiamo gli strumenti per affrontarli. Siamo di fronte a un bivio: possiamo continuare a lamentarci delle contraddizioni del nostro mercato del lavoro o possiamo vederle come un’opportunità per reinventarlo completamente. Quale strada sceglieremo?
Bentornato,
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