Nella sala consiliare del Comune di Bari si è svolto un incontro sulla resistenza delle donne, ovvero sulla dimenticata “quota rosa” che animò il movimento di liberazione dal fascismo dal 1940 in poi.
Un argomento per molti scomodo, per altri non importante, ma di cui la collettività deve appropriarsi per ridare luce e colore a pagine della nostra storia ora più che mai sotto scacco e comunque suscettibili di stereotipie anomale.
Parlare oggi di Resistenza partigiana è scomodo, non foss’altro perché ormai si fa fatica a elaborare il termine di opposizione di quella Resistenza: cos’era il Fascismo allora, cos’è oggi? È da combattere? E perché lo fecero? Non furono solo uomini comuni ma anche 70mila donne che costruirono occulte reti di staffette e di informazioni di sostegno ai resistenti clandestini. Perché lo fecero? Perché ha senso ricordare quegli uomini e quelle donne?
Una risposta me la voglio dare citando l’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza…”. Fu uno dei primi articoli che venne redatto e qualcuno volle imperiosamente ribadire quelle parole “senza distinzione di sesso”: era una donna, una partigiana, si chiamava Nilde Jotti.
Oggi ricordare la Resistenza, tutta la Resistenza di ogni colore e di ogni provenienza e di uomini e di donne, significa ridare spessore al nostro essere figli di una Costituzione che, come cita Letizia Cobaltini, segue “tutti i destini e colma tutte le distanze”. E identifica ancora con chiarezza, per fortuna, il rifiuto di quel Fascismo sotteso che abita non troppo nascosto dentro tanti.
Bentornato,
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