L’istituzione di una giornata dedicata alle vittime degli errori giudiziari ad alcuni piace, ma agita al contempo gli animi e le fronde politiche. Per il procuratore capo di Trani, Renato Nitti, rispecchia il clima di «forte insofferenza verso il controllo svolto dai soggetti deputati», ma anche la mancanza di informazioni precise sulla dimensione reale dei casi in cui si connota la responsabilità disciplinare del magistrato.
Che ne pensa di questa iniziativa?
«Mi interessa molto riflettere sugli errori che commettiamo nell’attività giudiziaria, capire dove si è sbagliato, provare a sbagliare meno. Ovviamente sappiamo tutti che il sistema di giustizia umano dà per scontato che – quale che sia l’impegno che ci si mette, lo zelo e la competenza- il giudice potrebbe sbagliare, per questo si prevede il mezzo di impugnazione».
Qual è il senso in questo momento storico?
«Sono tanti i segnali che ci dicono che ci sia una forte insofferenza verso il controllo svolto dai soggetti deputati, che si tratti della magistratura ordinaria (in maniera molto più evidente), della Corte dei Conti, dei giornalisti. La stessa insofferenza si trova in generale nella compressione delle iniziative di dissenso. È chiaro che in questa fase vi è una particolare insofferenza anche verso soggetti che svolgono attività di sentinelle della democrazia».
Come mai?
«La magistratura ordinaria si occupa dell’accertamento degli illeciti. Compito faticoso e difficile. In questo contesto il messaggio che sembra che si voglia portare è che invece i palazzi di giustizia siano dei luoghi di ingiustizia, in modo da alimentare la sfiducia verso la magistratura. Ed è vero? Prima di porsi il problema di portare avanti questa iniziativa, vediamo sulla base di quali dati essa è stata avviata».
Ce ne parli.
«I promotori di questa Giornata fanno riferimento a mille errori giudiziari all’anno, dado immediatamente l’idea che sia un dato vero e comunque attribuibile ai magistrati. Questo dato da dove è stato estrapolato? È interessante andare a leggere la relazione che nel 2024 ha fatto il ministero della Giustizia. In questo momento, il ministro della Giustizia è quotidianamente particolarmente critico nei confronti dei magistrati per portare avanti la Riforma contro la magistratura. Quindi c’è da aspettarsi che la relazione del suo ministero sia anch’essa particolarmente critica».
Cosa emerge?
«Parla proprio della riparazione per ingiusta detenzione, relativa al 2023: se andiamo a leggere, ci rendiamo conto che su un numero che oscilla tra 80 e 90mila misure cautelari applicate ogni anno si è posto il problema per mille: e questo è il “mille” di cui si legge nella relazione al disegno di legge. Se si va a leggere meglio, si scopre che queste mille sono tutte le cause intentate per il riconoscimento dell’ingiusta detenzione. Oltre la metà sono state rigettate».
Questo cosa ci dice?
«Il dato che viene esposto non è veritiero, andrebbe quantomeno dimezzato. Ma non ci serve soltanto sapere quanti sono i casi in cui è stata riconosciuta l’ingiusta detenzione: abbiamo sentito anche dichiarazioni di autorevoli esponenti politici che dicono che in tutti questi casi c’è una responsabilità del magistrato. Neanche questo è vero. Anzi è proprio smentito dalla stessa relazione del ministero della Giustizia che dice che questi casi non corrispondono affatto ad una responsabilità dei magistrato. Anzi, sono casi in cui la percentuale in cui sono sopravvenuti degli elementi successivi al momento della applicazione della misura cautelare ha consentito di acclarare l’estraneità della persona che era stata sottoposta».
Se ne può essere certi?
«È ovvio che nessuno potrà mai dare la certezza matematica esclusiva, che, al momento dell’adozione della misura, reggerà fino alla fine. Ma è bene accertarsi che ci troviamo in un sistema che è capace, anche successivamente, di prendere atto che ci sono ulteriori elementi o addirittura di cercarli, di trovarli per cambiare la valutazione che era stata fatta precedentemente».
Quindi magistrati salvi?
«È la stessa relazione del ministero che dice per tabulas, lo dice espressamente nelle conclusioni, che c’è assenza di correlazione tra il riconoscimento del diritto alla riparazione accertata e l’illecito disciplinare dei magistrati; voglio dire che ci può essere l’ingiusta detenzione, ma sono pochissimi i casi in cui si è accertato che questa dipenda da un illecito commesso dal magistrato».
È una giustizia “giusta”?
«Chi si occupa di giustizia disciplinare sa che quella nei confronti dei magistrati è tra le più efficaci che ci sia rispetto a qualsiasi altra categoria, c’è un’attenzione molto elevata della nostra giustizia disciplinare. D’altro canto è lo stesso ministro della Giustizia che ha un ruolo importante nel promuovere l’azione e non risulta che abbia contestato ai magistrati quei mille casi (che tali non sono) di ingiusta detenzione. Allora il punto è capire a che serve in questo momento parlare della vittima dell’errore giudiziario, quando ci sono già una serie di meccanismi che consentono di ridurre al minimo questa evenienza e di fare tesoro dell’errore commesso».
A qual pro, allora?
«In questo momento serve semplicemente a trasmettere un messaggio aggiungendolo a tutti gli altri che si stanno quotidianamente formulando: il messaggio è che ci sia una magistratura che non fa il proprio dovere. Per scoprire che non è così, basta leggere le relazioni dello stesso ministro, basta fare un confronto con quello che avviene con tutti gli altri paesi dell’Unione Europea».
E la Puglia non fa eccezione?
«La Puglia è una regione dove se ne sono verificati alcuni. Basta andarsi a leggere la tabella relativa alle ordinanze di pagamento per l’ingiusta detenzione e si scopre quante sono le ipotesi verificatesi nel corso del 2023: se facciamo una media tra i casi del 2022 e 2023, abbiamo una media di 14 tra all’anno. È ovvio che queste, e lo dice lo stesso ministero, non dipendono affatto in maniera automatica da un illecito disciplinare. Il Ministro ha chiesto al CSM nel 2023 soltanto in 3 casi di valutare l’illecito disciplinare su oltre 80.000 misure adottate: non è vero quindi che ci sono tanti errori altrimenti si sarebbe sicuramente attivato, no?».
Che intende dire?
«Noi dobbiamo avere la capacità di tenere conto che possono sopravvenire elementi nuovi: se un testimone che si palesava solido, credibile, attendibile, successivamente modifica la propria versione dei fatti, non è certamente addebitabile al funzionamento della macchina della giustizia, la quale deve avere la capacità poi di tornare sui propri passi se si verifica un fatto di questo genere. E invece il messaggio che si vuole dire è che tutte le ipotesi di ingiusta detenzione sono addebitabili ai magistrati, sta diventando una questione politica».
Politica e pretestuosa?
«Qualche giorno fa un giornale scriveva che saranno tagliati i bonus ai magistrati perché non lavorano a sufficienza. Persino il presupposto era falso, non esistono bonus per i magistrati, si tratta di bonus che vengono dati, parrebbe, solo all’interno dello stesso ministero. Però il messaggio che passa è: noi prendiamo il bonus e non ce li meritiamo neanche, perché non lavoriamo a sufficienza. Se uno vuole avere un dato sulla laboriosità dei magistrati confronti le statistiche di quello che avviene in Italia con l’estero. Il dato è più che eloquente: mediamente i magistrati italiani esprimono un tasso di produttività ragguardevole e senza confronti in Europa. Si corre il rischio che l’obiettivo finale sia creare un giudice timoroso e asservito che abbia paura di adottare le misure cautelari. Tanto più che si va raccontando che il giudice accoglie le richieste del pm soltanto perché è un collega: il che invece è smentito dal numero elevato di casi in cui il Giudice non accoglie le richieste del pm. A questo si vuole arrivare anche con la separazione delle carriere: si tratta di due interventi legislativi entrambi fondati su presupposti infondati e già documentalmente smentiti».