La “marea transfemminista” torna a sfilare per le strade della capitale. Contro il patriarcato. Contro i troppi femminicidi. Lo fa a pochi giorni dal 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, con un corteo nazionale di “Non una di meno” che ieri ha attraversato Roma per arrivare a piazza Vittorio Emanuele II.
La protesta
“Disarmiamo il patriarcato”, lo slogan principale. A un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin «altri 106 nomi, rimasti anonimi, si sono aggiunti», hanno affermato le promotrici, lanciando poi un messaggio al ministro dell’Istruzione, finito al centro delle polemiche negli ultimi giorni. «Le parole del ministro Valditara confermano l’urgenza di scendere in piazza. Il patriarcato esiste, non è ideologia e il razzismo istituzionale non è la risposta. L’assassino, il violento, l’abusante sono figli della nostra società e hanno quasi sempre le chiavi di casa», ha ricordato “Non Una di Meno”. Il dissenso nei confronti Valditara è culminato con una sua foto bruciata davanti al ministero di viale Trastevere. «Valditara pezzo di m***a”, le parole scandite al megafono dalla scalinata del ministero.
Il corteo
Cori, striscioni, cartelli e musica hanno accompagnato la manifestazione delle attiviste giunte nella capitale da tutta Italia. Alla testa del corteo due carri, arivati in piazza sulle note delle canzoni “Shock” di Ana Tijoux e “Historika” di Sara Habe.
L’attacco a Meloni
«Questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna. Misure contenute non solo nel ddl sicurezza sono per noi preoccupanti, dalla restrizione del diritto al dissenso alla possibilità di ingresso in carcere per le donne in gravidanza o comunque con figli molti piccoli», hanno detto le attiviste in un punto stampa.
«Siamo qui a dire che dobbiamo togliere tutte le armi al patriarcato, armi che riguardano tutti gli aspetti delle nostre vite: dalla violenza dei movimenti “pro-vita” negli ospedali a quella transfobica – hanno aggiunto – E poi la violenza che subiamo nei luoghi di lavoro, sia perché subiamo molestie che perché siamo costantemente sottopagate e impiegate nei lavori più precari. Violenza che subiamo anche nelle scuole in cui non riceviamo nessuna forma di educazione transfemminista e alla violenza che subisce il pianeta su cui viviamo». Per concludere: «Siamo tornate in piazza per essere nuovamente marea e costruire quella potenza che può cancellare il patriarcato».