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La testimonianza choc su Giulio Regeni: «Bendato e in manette, sfinito dalle torture»

Ammanettato con le mani dietro la schiena, gli occhi bendati, e torturato per ore. È l’immagine di Giulio Regeni restituita attraverso una testimonianza choc di un cittadino palestinese, fornita dai giudici della prima corte d'assise di Roma, che era detenuto nello stesso carcere dove venne portato il ricercatore italiano. Un racconto drammatico degli ultimi giorni…

Ammanettato con le mani dietro la schiena, gli occhi bendati, e torturato per ore. È l’immagine di Giulio Regeni restituita attraverso una testimonianza choc di un cittadino palestinese, fornita dai giudici della prima corte d’assise di Roma, che era detenuto nello stesso carcere dove venne portato il ricercatore italiano. Un racconto drammatico degli ultimi giorni di Regeni e della detenzione nella struttura carceraria degli apparati di sicurezza del Cairo.

La video-testimonianza

In aula è stato mostrato il video dell’intervista del testimone comparsa in un documentario poi mandato in onda su Al Jazeera. Gli incontri con Regeni avvennero il 28 e il 29 gennaio del 2016, pochi giorni dopo la sua sparizione in una fermata della metropolitana della capitale egiziana. «L’ho visto arrivare nel corridoio – ha raccontato il testimone -, era a circa cinque metri da me. Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati e accompagnato da due guardie carcerarie. Gli interrogatori duravano ore, l’ho rivisto dopo, era sfinito dalla tortura: le guardie lo portavano a spalla, verso la sua cella. Non era nudo indossava degli abiti, dei pantaloni scuri e una maglietta bianca». Il teste ha affermato di non avere parlato con lui. «I carcerieri insistevano molto con la domanda “Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio». Erano nervosi, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente. Oltre ai carcerieri c’erano gli investigatori, ufficiali che non avevo visto prima e un colonnello, Ahmad, un dottore specializzato in psicologia. Anche il colonello Tareq ha ripetutamente assistito agli interrogatori di Giulio».

La disumanità

Nel corso del colloquio registrato, il cittadino palestinese ha anche raccontato delle condizioni disumane in cui erano tenuti all’interno della struttura. «Eravamo in isolamento totale, le celle erano molto strette, fredde, umide e maleodoranti. Nel periodo dell’interrogatorio non si riceveva cibo e nel periodo successivo, quello della reclusione, le pietanze venivano servite ma era cibo assolutamente scadente». Si trovavano completamente «isolati dal mondo esterno: la sensazione – ha aggiunto – era quella di stare in un sepolcro». Detenzioni senza regole, senza alcun tipo di garanzie. «Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché», ha concluso il teste.

Il ricordo della sorella

Nel corso dell’udienza è stata ascoltata anche la sorella di Regeni, Irene, che visibilmente commossa ha ricordato i giorni del sequestro e del ritrovamento del corpo. «Ricordo una telefonata di mia madre, mi disse: «hanno fatto tanto male a Giulio». La parola tortura però l’ho sentita per la prima volta al telegiornale», ha detto la 32enne. Parlando di Giulio lo ha descritto come «un ragazzo normalissimo, gli piaceva divertirsi era un esempio per me, il fratellone che dava consigli». E ancora: «avevamo punti di vista diversi sulle cose: lui era un umanista e io una scienziata. Eravamo sempre in contatto sulle cose importanti: ci sentivamo tramite chat e tramite mail. Giulio – ha concluso – è stato sempre appassionato di storia, studiava l’arabo Dopo il corso triennale andò per la prima volta in Egitto. Era aperto a conoscere culture diverse, in particolare quella egiziana: era entusiasta di andare lì, era contento per la ricerca sul campo».

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