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Le incognite americane nel ritorno di Donald Trump

Le elezioni americane sono, finalmente, arrivate e ha vinto il candidato repubblicano Donald Trump con il 50,2% di preferenze contro Kamala Harris, candidata democratica, che di preferenze ne ha espresse il 48,1%.

Nulla ha fermato il miliardario Trump eletto a pieni voti, nonostante sia l’unico caso di presidente americano con il peso di una condanna penale per ben 34 reati di falsificazione di documenti contabili che, molto probabilmente, verrà archiviata.

Tutto il mondo adesso attende le prime decisioni che prenderà, dopo il suo insediamento, il neo eletto che sul tavolo ha molti più grattacapi del precedente mandato. Primo tra tutti la complessa situazione creatasi nel cuore del vecchio continente con la Russia pronta a estendere le proprie arie di influenza per riappropriarsi di quei paesi persi nel tempo con il processo di democratizzazione ed indipendenza. E poi, la questione israeliana con il pericolo di un allargamento del conflitto, dopo la striscia di Gaza e il Libano, a paesi come l’Iran con una certa destabilizzazione dell’intera regione.

Da un lato l’America che vede l’Europa come un vecchio carrozzone zoppo, con una Germania in crisi di governo e molti paesi non del tutto allineati tra loro rispetto al conflitto russo-ucraino, e che deve scegliere se continuare a foraggiare l’Ucraina in una guerra di posizione che fatica, dopo quasi tre anni, a vedere un reale vinto o vincitore, nonostante gli ingenti aiuti tecnologici offerti dai paesi della Nato; dall’altro una Russia che ha concretizzato alleanze strategiche con la Corea del Nord, la Cina e che ha presieduto la riunione dei Brics trovando molti paesi favorevoli ad un nuovo corso della storia e che ha invitato ufficialmente Ankara a entrare nel gruppo dei paesi cosiddetti emergenti. Quest’ultima, tra l’altro, ha da poco annunciato la rottura delle relazioni con Israele.

Non danno sollievo le prime esternazioni dell’entourage del neoeletto presidente americano, soprattutto quelle che vedono un disinvolto posizionamento protezionistico della grande mela che vorrebbe, tra i primi provvedimenti, affrontare il tema dell’immigrazione, soprattutto quella definita clandestina, alzando muri e favorendo facili rimpatri. Da un lato Trump sembrerebbe chiedere di evitare l’escalation, dall’altro la Russia attacca in modo ancora più incessante Kiev. Di pochi giorni fa le dichiarazioni di Trump J. hanno creato sconcerto perché pareva dare un ultimatum allo stesso Zelensky parlando della fine delle risorse disponibili, da parte del governo americano, per l’Ucraina.

Tutto ciò non certo va a favore della politica estera europea che, improvvisamente, potrebbe trovarsi sola e senza il partner principale a dover fronteggiare l’avanzata della Russia verso occidente e rimanere l’unica alleata dell’Ucraina di Zelensky o, nella peggiore delle ipotesi, svegliarsi improvvisamente indebolita e fiaccata da non riuscire a trovare una linea comune in temi di politica estera e difesa.

L’Europa, pur nella sua unità, potrebbe ulteriormente assistere a delle defezioni di fronte alla determinazione espansionistica russa. Ultimo tassello di una matassa ancora del tutto intricata è la nomina del magnate Elon Musk a capo del Dipartimento per l’efficienza governativa, sostenitore della campagna presidenziale di Trump, il quale pare abbia particolarmente a cuore il nostro paese, visto che in poche ore si è speso per criticare l’operato dei magistrati italiani che a suo avviso andrebbero cacciati ed è entrato a gamba tesa nelle questioni interne di un paese, l’Italia, che il presidente Sergio Mattarella, costretto ad intervenire, ha dovuto difendere definendolo democratico e capace di badare a se stesso.

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