Ogni giorno in qualche parte d’Italia c’è una scena che si ripete nel silenzio assordante delle nostre coscienze: un medico, un infermiere, un operatore sanitario viene insultato, minacciato a volte aggredito. E più passano le settimane, più notizie di questo genere sono una “non notizia”.
Sono informazioni che non suscitano sdegno, assuefatti come siamo a una quotidianità di rabbiosa violenza. Ma non siamo gli stessi che tra le canzoni sui balconi e una mascherina Ffp2, applaudivano i medici chiamandoli eroi?
Sono passati secoli da quei mesi e in questo tempo la sanità è collassata, oberata da liste d’attesa interminabili e lunghe ore in corridoi in pronto soccorso sempre più affollati. E allora il medico non è più l’eroe che ci doveva aiutare durante la pandemia, ma diventa il simbolo di un sistema che non funziona.
Se manca un posto letto in un reparto, se il telefono dell’ambulatorio è sempre occupato, se per effettuare una visita specialistica occorrono mesi, il responsabile è quel camice bianco che si ha di fronte. Ed ecco che la rabbia diventa violenza.
Diventa intolleranza e abituati come siamo a volere tutto e subito, come può un medico non rispondere a un messaggio WhatsApp dopo oltre trenta minuti? In questo mondo che non sa più aspettare, che ha perso il rispetto per la fragilità, forse sarebbe necessario tornare al passato. Pensiamo all’antica Grecia, dove la figura del medico era sacra e racchiudeva in sé il concetto di cura e protezione, accogliendo l’angoscia e il dolore di chi soffriva.
Bentornato,
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