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La notte del mondo che sembra non passare mai

Quanta amarezza nella lunga notte che da troppo tempo avvolge l’umanità. La solitudine dell’universo le è compagna e la poesia, perché, come diceva Eduardo, per quanto lunga “ha da passà ‘a nuttata”. Troveremo macerie dappertutto quando sarà passata. E gli sconfitti dovranno farsi carico del dolore e della miseria del mondo, sempre che gli sconfitti sappiano ritrovare il modo di liberarsi delle catene che li hanno incatenati e che volontariamente si sono procurate e scrollarsi di dosso la convinzione di essere i migliori. Perché sconfitti sono quanti hanno votato i loro affamatori e quanti non hanno saputo contrapporsi ad essi con una visione della società, dello Stato, dell’economia attenta ai bisogni degli sconfitti e rivolta alla loro perduta felicità.

Le vecchie classi sociali, a cominciare dalla classe media che è stata impoverita e portata al limite del dissolvimento, i diseredati e gli ultimi, coloro che devono camminare lungo i marciapiedi a testa bassa per non incrociare lo sguardo dei loro persecutori, gli immigrati, il popolo dei Bronx, i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne violate ed abbandonate, non avevano da molto tempo ormai una sponda sicura a cui poggiarsi per alleviare il peso della loro condizione.

La felicità della gente, dei popoli e delle persone da molto tempo non era più il fine dell’azione degli Stati, al di là di quanto affermato dalle loro Costituzioni. Le loro preoccupazioni erano rivolte agli equilibri finanziari, alla onerosità del debito che minacciava la loro tenuta, alla lotta all’inflazione o deflazione con l’arma dei tassi di interesse che tuttavia erano finalizzati a tutelare i profitti e le rendite degli oligarchi dell’economia mondiale e che ormai non conoscono patria al di fuori dei loro consigli di amministrazione, quelli sì senza muri e pregiudizi. Il lavoro non era più, da tempo immemore, lo spazio e lo status della dignità di uomini e donne in cerca di realizzazione, progresso.

Il traguardo di ragazzi e ragazze in cerca di autonomia e liberazione dai vincoli, tutti i vincoli, sociali, familiari, economici e di quartiere per affermare la propria voglia di essere, di vivere. Il lavoro era stato derubricato a strumento accidentale della finanza che massimizzava i suoi proventi svuotando tutto il resto. Era a ciò funzionale il villaggio globale non certo alla lotta alla fame ed alla miseria sbandierata dalla speculazione che occupava il mondo della finanza, della tecnologia divenuta tecnica, dell’energia e di tutti i settori definitivamente sradicati dai territori, dalle culture, dai popoli, dalle memorie e diventati paradossalmente patrimonio del pensiero di quanti avrebbero dovuto ribellarsi ed invece erano diventati vittime consenzienti e addirittura sostenitori di quel nuovo mondo. A che potevano servire ormai la scuola e la cultura? Una volta distrutti i pilastri della libertà, della responsabilità, della conquista della propria vita, ormai affidata alle elemosine della speculazione che usava gli Stati come suo tramite? Si potevano ben ridurre la scuola e l’università ad appendici della speculazione che manovrava ormai a suo piacimento Stati e Governi, uomini politici e tecnici d’alto bordo, istituti di emissione e banche, industrie e persino guerre, invasioni e genocidi? Il divertimento spazzatura era il meglio che si poteva offrire ed il meglio che si poteva chiedere magari con qualche concordo a premi più o meno milionari riservato ai sostenitori di quel mondo.

Per il resto il sapere sarebbe stato buono per alimentare la tecnica non il pensiero con tutti quegli ammennicoli, filosofia, storia, latino, letteratura, poesia, musica, arte che non servivano più alla bisogna. Perché l’obiettivo non era costruire le coscienze di uomini liberi e pensanti ma gangli di una catena che tutto e tutti avrebbe tenuto ben inchiavardati al potere della speculazione. «Lo Stato? Ma che senso ha la presenza dello Stato in economia? – Dissero i precursori del regno universale della speculazione – Si preoccupi di essere efficiente e leggero, al resto ci pensiamo noi». E nel club Bilderberg, sui panfili e nelle segrete riunioni poi manifestatesi a Davos, tra le montagne svizzere, quelli varavano il governo unico del mondo. Oltre la politica, oltre gli Stati.

L’aspetto straordinario di questa faccenda è che alla fine quelli riuscirono a convincere tutti, ma proprio tutti, che quella storia del governo del mondo era meravigliosa… una sorta di scoperta dell’uovo di Colombo che finalmente avrebbe dato la stura alle sorti meravigliose e progressive del mondo. E giù il muro di Berlino e tutti i confini del mondo. E nacque il villaggio globale. La gente si spostava da un punto all’altro del globo senza problemi. Anche i voli non costavano più che quasi niente. Ed anche le fabbriche non pagavano il lavoro che niente, assolutamente niente. E così cominciò a perdersi la distinzione tra primo e secondo e terzo e quarto mondo. E la povertà cominciò a diffondersi ovunque, a rendere tutti i popoli uguali. Ignoranti, arrabbiati e squattrinati. E anche il villaggio globale si rivelò un bluff per le vittime di esso, ossia le genti, le persone, i popoli che si ritrovarono rinchiusi in un grande caravanserraglio in cui potevano odiarsi a loro piacimento. Ormai il governo unico del mondo era cosa fatta.

In America, la patria della libertà e del libero mercato, quello in cui venditori e compratori stabiliscono il prezzo sulla base delle loro reciproche convenienze, lo Stato federale aveva addirittura rinunciato a presidiare il crinale della più spinta tecnologia. Tutto affidato ai potentati privati che alimentavano la speculazione e celebravano il governo unico del mondo. Anche lo spazio ormai era questione di quelli e la comunicazione digitale. Alle autorità federali restavano gli eserciti e le guerre e i tassi di interesse, tutto deciso sempre da quelli. Ed in Italia? Un presidente del Consiglio, divenuto nume tutelare dei progressisti senza ideologia, proclamava che lo Stato doveva ritirarsi dall’economia e vendette tutto, ma proprio tutto, inaugurando una politica portata avanti per quarant’anni da destra e da sinistra senza distinzione. Un altro padre della patria smantellò il sistema bancario, quello meridionale prima di tutto a cominciare dal Banco di Napoli – «troppo parcellizzato ed infeudato» si disse – con il concorso di un padre moderno dell’Europa convertita al governo unico del mondo. Marx era ormai roba da fondi di magazzino ed anche Keynes non aveva più senso. In Italia Federico Caffè, ultimo sostenitore dell’azione dello Stato per la felicità del popolo e oppositore del governo unico del mondo, scomparve, come Majorana, nelle brume di un orizzonte ormai senza luce.

Il mondo ormai era monopolio dei potenti che manovravano finanza, tecnologia, energia, comunicazioni, divertimento ed ignoranza a proprio piacimento e disponevano a loro piacimento dei destini degli Stati e della vita della gente. Non serviva più la democrazia di derivazione greca o di Tocqueville né la rivoluzione di libertà, fraternità, eguaglianza. Avanzava la richiesta di sicurezza degli ultimi indirizzata a chi aveva le leve del potere. Che senso avrebbe avuto affidare il bisogno di sicurezza a chi era rimasto fuori, per sua responsabilità, da quel potere? Discutere sui diritti civili che potevano appassionare una minoranza di privilegiati e sopravvissuti? Sostenere aspirazioni di fratellanza universale che avrebbe generosamente accolto chi scappava portando in casa altre bocche da sfamare a scapito di quelle che già chiedevano di esserlo con maggiore intensità?

Non aveva senso. Quelli del Bilderberg e di Davos, del Governo unico del mondo, avevano vinto. Ed erano i padroni che pensiero unico anche che li aveva portati a tanto e che era stato fatto proprio anche dai progressisti che ormai non servivano più. Da qui la deriva che sta travolgendo il mondo stesso con guerre e speculazioni ovunque e tentazioni autoritarie dappertutto. Sarà una lunga notte quella che il mondo dovrà attraversare e gli Stati e le genti con essi. E sarà bene che quanto è rimasto vivo del pensiero, comunque lo si voglia chiamare, rivolto alla salvaguardia dell’umanità sul piano della cura della terra, della responsabilità dei governanti, della felicità dei popoli, della solidarietà e compassione tra di essi, si attrezzi per la traversata del deserto. Rifiutando finalmente quel pensiero del governo unico del mondo che li ha travolti, travolgendo il mondo.

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