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La restanza per salvare i paesi dallo spopolamento

Nel 1984, eravamo in 50 ad iniziare la scuola elementare a Biccari. Nel 2024, ahimè 40 anni dopo, la prima sezione è formata da 20 bambini. Da figlio a padre: meno 30. Un disastro demografico. Con un saldo che sarebbe ancor più pesante senza l’apporto, inimmaginabile ai miei tempi, di tanti bambini non ancora italiani: tre in prima, 32 su 210 in totale. Più che in vena di ricordi, però, sono alla ricerca di una chiave per interpretare ed “usare” questi numeri. Meno 10, 12 e 15% non sono gli sconti del prossimo Natale, ma la percentuale dei residenti persi dai paesi dei Monti Dauni negli ultimi cinque anni. In media, ogni comune ha perso il 6,4% di residenti da gennaio 2019 a giugno 2024 (Biccari, solo l’1,76%, e sui motivi di questo dato avrei qualcosa da poter raccontare). In totale, nei 29 paesi della nostra area interna ci sono 3.601 cittadini in meno rispetto a cinque anni fa.

Come se fosse evaporato il terzo paese più popoloso (tipo Deliceto che conta 3.486 residenti a giugno 2024) o, se preferite, come se fossero scomparsi tutti insieme i suoi sei gioiellini più piccoli (Celle di San Vito, Volturara, Faeto, Motta, Panni e Alberona sommavano 3.543 residenti all’inizio del 2019).

In cinque anni, sei paesi in meno. C’è da perdere il sonno. E non è tutto. C’è un elefante bello grosso nella stanza: questi numeri si riferiscono ai residenti, non agli abitanti. Se anziché contare chi è iscritto in un registro comunale, contassimo chi tiene accesa la luce durante l’inverno (come direbbe Massimo Angelini), il numero crollerebbe ulteriormente. È la tragedia silenziosa dei paesi che non fa notizia, che interessa poco, che fatica ad essere considerata emergenza nazionale.

E poco importa che se le cause sono tante, se il problema riguarda l’Italia intera oltre che quella interna. Di risposte convincenti non arrivano. Ecco perché dobbiamo fare qualcosa che parta dal basso, dai territori, dai nostri paesi. Ecco perché non possiamo più aspettare. Se siamo d’accordo sul fatto che nessuno dei nostri borghi tornerà ai 5-6 mila abitanti degli anni Cinquanta, se assumiamo come priorità quella almeno di contenere lo spopolamento; se decidiamo di non nasconderci dietro l’alibi del grande inverno demografico che riguarda tutti e invece scegliamo di assumerci la responsabilità di fare noi qualcosa; se accettiamo la sfida di ragionare su obiettivi di breve e medio periodo (come per esempio quello di difendere le nostre prime elementari), allora non possiamo non convenire sul fatto che, in fin dei conti, la differenza si può fare anche con piccoli (ma preziosissimi) numeri: tre, cinque, dieci bambini all’anno per ricominciare dall’inizio. Per immettere vita nei vari paesi.

Studiamo le buone pratiche, facciamo diventare la “restanza” un’occasione (non una condanna) e l’accoglienza una strategia (non una minaccia). Fondiamo insieme gli unici partiti che serviranno nei prossimi trent’anni: il Partito Demografico, il Movimento Tante Culle, i Figli dItalia o i Fratelli del Mondo. Fate come più vi piace. Ma fate qualcosa.

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