Vuole sedersi e spiegare. Chiarire ai magistrati come sono andate le cose con le 20 donne che l’hanno denunciato per violenza sessuale. Il ginecologo barese Giovanni Miniello, arrestato (ai domiciliari) il 30 novembre scorso e dal 22 aprile scorso sottoposto alla misura interdittiva, ha chiesto alla Procura di Bari di essere ascoltato.
Un mese fa aveva ricevuto dal procuratore capo, Roberto Rossi, dall’aggiunto Giuseppe Maralfa e dalle pm Larissa Catella e Grazia Errede, l’avviso di conclusione delle indagini a suo carico. I quattro magistrati gli contestano i reati di violenza sessuale aggravata, tentata e consumata, e le lesioni personali “di tipo cronico, consistenti in disturbo da stress post traumatico”.
Miniello, assistito dagli avvocati Roberto Eustachio Sisto e Italia Mendicini, secondo i pm avrebbe proposto rapporti sessuali come cura per il papillomavirus e per prevenire il tumore dell’utero. I racconti di otto presunte vittime sono stati cristallizzati in un incidente probatorio. I fatti contestati risalgono agli anni 2010-2021, alcuni però sono stati denunciati anni dopo e questo è stato ritenuto dai giudici tardivo.
Intanto, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale il 4 febbraio scorso il tribunale del Riesame di Bari aveva rigettato l’appello della Procura che chiedeva la detenzione in carcere per Giovanni Miniello. Ai giudici baresi dunque toccherà rivalutare quel provvedimento sugli aspetti che la Corte di Cassazione ritiene particolarmente importanti.
Nel loro ricorso, i quattro pm avevano insistito sulla condizione di inferiorità psichica di una delle sue pazienti, in particolare in uno stato di fragilità, dopo averle prospettato la possibilità di un tumore se non si fosse sottoposta ad una “bonifica” con lui.
E quanto alla “violenza sessuale”, avevano fatto notare che non ha rilevanza il fatto che il tentativo di avere rapporti sessuali non fosse andato a segno, come ha sostenuto la Cassazione in una recente sentenza. Secondo la Procura, Miniello avrebbe usato una “minaccia costrittiva”.
Il medico, cioè, avrebbe «tentato di condizionare la volontà della paziente, così minacciandola, con l’induzione nella donna del timore che al rifiuto di quella “terapia” conseguisse la progressione oncologica dell’infezione virale».
Altro motivo di ricorso è la non ammissione, da parte del tribunale, di altre due denunce perché ritenute tardive. Anche in questo caso, i pm avevano ripreso una sentenza della Cassazione che fissa come termine per la querela quello che decorre da quando c’è “conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti del fatto reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva”. Nel caso delle due donne, lo hanno appreso con certezza solo dopo aver visto il servizio del programma televisivo “Le Iene” e averlo commentato tra loro.
La prossima settimana, allora, sarà per Miniello l’occasione di poter spiegare e accendere una luce diversa sulla sfilza di episodi che costituiscono il corpo delle accuse contro di lui, il leit motiv di tutte le denunce presentate in Procura da donne di età diverse, accomunate dalla paura.